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Secondo gli inquirenti la ‘Ndrangheta contava su un appartenente alla pubblica amministrazione di Bra

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BRA Traffico di stupefacenti che arrivavano per direttissima in città dalla Calabria, due carabinieri, all’epoca dei fatti in forze alla compagnia cittadina che avrebbero rivelato segreti d’ufficio, voti di scambio, infine la capacità di aver l’ultima parola persino sull’assegnazione degli spazi agli stands a Cheese (non indagata Slow Food che non avrebbe avuto ruoli o contatti): N’drangheta ai piedi della Zizzola. É questo il quadro che emerge dalle indagini, condotte congiuntamente dalla Squadra Mobile di Torino, Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Cuneo, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia e dai pubblici ministeri Cappelli e Castellani di Torino.

La “locale” di Bra, con questo termine si indicano nel linguaggio dei mafiosi le strutture criminali territoriali, era controllata dagli esponenti della famiglia Luppino, originaria di Sant’Eufemia d’Aspromonte ma da anni trapiantata nel cuneese. Il boss Salvatore, dal carcere di Saluzzo dove era detenuto per condanne che vanno dall’estorsione al traffico di droga gestiva, secondo le ipotesi degli inquirenti, assieme al fratello Vincenzo gli affari della cosca braidese, anche grazie a permessi premio e al favore di due guardie carcerarie locali. Tanta droga, quella che entrava in città con l’aiuto di esponenti di altre famiglie e “locali” torinesi, per essere rivenduta con l’appoggio di una rete capillare: fra questi Francesco De Lorenzo di Nichelino e il clan dei Provenzano (tre gli arrestati). Le rivelazioni del collaboratore di giustizia Domenico Agresta, detenuto per omicidio a Saluzzo, risalgono al 2016; due anni di indagini serrate hanno rivelato profonde ramificazioni cittadine del clan. I Luppino potevano contare, infatti, sui favori di un esponente della pubblica amministrazione di Bra che avrebbe offerto al capo della “locale” un lavoro in cambio di favori elettorali promessi. Iscritti al registro degli indagati anche due carabinieri in forze, all’epoca dei fatti, alla compagnia cittadina accusati di rivelazione di segreti d’ufficio; un altro militare, di stanza a Villa San Giovanni, in Calabria, è invece imputato per favoreggiamento personale. Nella rete anche un avvocato che avrebbe fatto da tramite fra il boss e i contatti mafiosi all’esterno del carcere, e due agenti della Polizia Penitenziaria di Saluzzo.

Davide Gallesio

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