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Secondo welfare: il privato colma lacune pubbliche

Imprese, sindacati, fondazioni bancarie e anche associazioni hanno assunto un ruolo crescente in ambito sociale, culturale, artistico, ambientale

Secondo welfare: il privato colma lacune pubbliche

L’INTERVISTA Dove non arriva il pubblico, possono arrivare i privati, che nel tempo hanno saputo ritagliarsi uno spazio sempre più importante nella società, dando risposte concrete a cittadini e territori. È il cosiddetto secondo welfare, a cui la fondazione Cassa di risparmio di Cuneo dedica un evento on-line anche alla luce dell’emergenza Covid-19. Il punto di partenza è la presentazione del rapporto pubblicato dal laboratorio di ricerca Percorsi di secondo welfare, realtà nata nel 2011 nell’ambito dell’Università di Milano, che vede tra i partner la fondazione cuneese. Abbiamo anticipato alcune tematiche con Federico Razetti, uno dei ricercatori.

Il vostro Rapporto sul secondo welfare si riferisce al 2019: nel tempo, come si è evoluto questo settore?

«Si tratta di un comparto variegato, che riunisce quelle realtà non pubbliche, attive in ambito sociale: si va dalle imprese ai sindacati, dalle fondazioni bancarie alle associazioni. Il loro ruolo è diventato sempre più importante, dal momento che, attraverso forme di innovazione sociale, sono riuscite a colmare diverse lacune pubbliche. Per esempio, se prendiamo in esame il welfare aziendale, dal 2016 sono stati siglati 13 contratti collettivi nazionali che prevedono una quota da spendere in beni e servizi, coinvolgendo più di 2 milioni di lavoratori. Nel frattempo, ha assunto un impatto crescente anche il mondo della filantropia. Così, in Italia, sono 111 le fondazioni d’impresa, di cui 40 nate negli anni della crisi. Il loro impegno spazia da settori come la cultura, l’arte, ma anche l’assistenza sociale e l’ambiente. Sono invece 88 le fondazioni bancarie, attive da Nord a Sud, che nel 2018 hanno erogato oltre un miliardo di investimenti, di cui circa la metà per iniziative collegate proprio al welfare».

Ci sono differenze territoriali nel fenomeno?

«Uno dei rischi del settore è proprio la differenziazione, che tende a riflettere la geografia economica del Paese. Ad esempio, delle 111 fondazioni d’impresa italiane, il 45 per cento sono in Lombardia, l’8 per cento in Piemonte, il resto nel Paese».

Che realtà rappresenta la provincia di Cuneo?

«Il suo tessuto imprenditoriale è molto dinamico, ma costituito da aziende piccole o medio-piccole. Per un’impresa come la Ferrero, che rappresenta un’ottima pratica riconosciuta a livello internazionale, la strada del welfare è più facile. Le realtà più piccole, invece, spesso si limitano a intervenire in ambito pensionistico e della sanità integrativa, già previsti dalla contrattazione nazionale. Le reti d’impresa consentirebbero alle piccole attività non solo di accedere al welfare aziendale, ma di raggiungere maggiore competitività. È questo uno degli aspetti emersi dalla ricerca svolta per la Crc».

Che impatto ha avuto l’emergenza Covid-19 sul secondo welfare, Razetti?

«Attraverso un questionario on-line, chiuso il 7 maggio, abbiamo cercato di identificare i soggetti che, in Fase 1, hanno reagito all’emergenza e hanno fornito risposte concrete ai lavoratori o ai rispettivi territori, facendo leva sul welfare e sulla responsabilità sociale. In generale, le iniziative sono state maggiori nelle regioni più colpite dal Covid-19. Per quanto riguarda le aziende, molte sono scese in campo con lo smart working, spesso sperimentato per la prima volta. Senza una base di partenza, la questione sarà valutare come quanto acquisito verrà conservato. Per il mondo del volontariato e dell’associazionismo il virus ha rappresentato invece un grande e importante momento di cambiamento: oggi è fondamentale capire se tutti i soggetti avranno la forza di ripartire, reinventandosi sotto molti punti di vista».

f.p.

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