Che rabbia mi fa la vita che faccio: l’emozione che molti condividono

Dai dati del nostro sondaggio emerge come il 36,8% consideri la perdita di controllo dovuta all’ira un sentimento «negativo», il 58,8 «sia positivo che negativo» e solo il 4,4 «positivo»

Che rabbia mi fa la vita che faccio: l’emozione che molti condividono

L’INDAGINE Che cos’è la rabbia, quanto e perché le persone provano questa emozione? Ogni mese realizziamo ricerche, attraverso questionari on-line composti da circa 10 domande. Ci interessa questa volta indagare i vissuti della popolazione rispetto a una tematica molto sentita, anche a livello sociale. L’obiettivo è raccogliere testimonianze di un periodo storico delicato, contribuendo a spiegare dal punto di vista psicologico e antropologico fenomeni altrimenti invisibili. Soprattutto, vogliamo cercare di creare un’informazione autentica, anche “dal basso”, che conceda cioè possibilità espressiva alla comunità di cui Gazzetta d’Alba si sente parte, occasione di reciproco confronto. A luglio abbiamo cercato di comprendere il tema della collera, molto sentito in un periodo di apparente impotenza a influire sulle decisioni che riguardano la società: hanno risposto circa 140 persone.

Dai dati emerge come il 36,8% degli individui consideri la rabbia un’emozione «negativa», il 58,8% «sia positiva che negativa» e soltanto il 4,4% «positiva». In verità, la psicologia spiega come le cose risultino molto più complesse.

Alla domanda: «Quanto senti di essere arrabbiato nella tua vita?», le persone che hanno risposto sembrano distribuite in modo uniforme. Un terzo dei nostri lettori assegna un punteggio compreso tra 7 e 10, un altro terzo tra 1 e 4 e la restante quota si colloca nel mezzo. I dati sono sufficienti a dimostrare quanto l’emozione circoli in modo impalpabile ma intenso nel tessuto sociale.

A conferma di ciò, il 51% delle persone dichiara di dover subire «molto sovente» la rabbia altrui: sul lavoro o in famiglia. Il periodo storico appare caratterizzato dunque da un’elevata conflittualità, che può tramutarsi in vittimizzazione del più debole.

Inoltre, quasi il 57% delle persone intervistate ritiene che amici e familiari siano «abbastanza» arrabbiati, mentre solo il 30% sceglie «poco» per definire lo stato d’animo di chi conosce bene. Se di per sé il fenomeno potrebbe assumere aspetti positivi –perché una certa dose di rabbia (forza) può aiutare a raggiungere traguardi impensabili a livello politico e sociale –,il problema è che questi vissuti si associano con maggiore facilità a sentimenti invece negativi: per il 25% del campione la rabbia si unisce in maniera diretta al senso d’impotenza, per il 18% all’ansia, per l’11% alla paura e per il 13% alla rivalsa.
La collera potrebbe anche consistere in un’emozione costruttiva, che porta a rivendicare i propri diritti e raggiungere obiettivi di giustizia ed equità. Eppure, tra la gente questo vissuto sembra appiattirsi su qualcosa di esclusivamente negativo e destrutturante. Dare ascolto e non ignorare queste emozioni è il primo passo verso una loro comprensione, nell’obiettivo di trasformarle in forze propositive e spinte migliorative.

Uno dei problemi più significativi che sembrano emergere dalla nostra ricerca, riassunta in queste pagine, è che il 33% del campione intervistato dichiara di «non riuscire a percepire la propria rabbia».
Il mancato riconoscimento delle emozioni può essere causa e conseguenza di situazioni problematiche sul fronte affettivo, relazionale, familiare e sociale. Infatti, il 18,4% del nostro campione dice di «cercare di reprimere» la propria ira, il 9% la «tiene dentro» e oltre il 14% la «sfoga su qualcun altro».
Questi meccanismi non fanno che aumentare o distorcere il tema, che non trovando forma né significato continua a circolare in maniera poco funzionale.

È l’ingiustizia a toccare nel profondo oltre un terzo dei nostri intervistati

Che cosa ti genera più rabbia in questo momento della tua vita? È una domanda che abbiamo rivolto nella ricerca di luglio. Il 33% ha risposto: «Le ingiustizie subite da me o anche da altri»; l’8%: «La mia situazione economica personale»; il 12,4%: «La mancanza di reali possibilità di autorealizzazione». Il lavoro e la serenità necessaria a realizzare i propri desideri si configurano come i fantasmi fra le categorie giovani, ma anche tra chi giovane lo è stato: in un contesto sociale dominato dall’assenza di meritocrazia, uomini e donne sono soggetti alla cronica assenza di sguardi davvero capaci di valorizzarli.

Ci si ritrova a «vivere per sopravvivere», rinunciando all’ideale e a molti sogni. Tanto che un altro 12% dichiara che è «la sensazione di fallimento» a far esplodere le quote personali maggiori di rabbia. Dati dimostrati dalla domanda successiva, in cui il 30% delle persone identifica nel lavoro l’ambito più problematico e capace di generare vissuti difficili, mentre per il 22% è invece l’economia e per il 22,6% la politica. Emerge, inoltre, come per almeno 24 intervistati su cento la rabbia derivi in modo particolare dai «rapporti sociali e familiari». È questa una versione negativa dei legami affettivi, che sovente vengono riconosciuti solo per la loro funzione di risorsa e protezione.

Invece, in casa, tra amici e nelle pieghe della vita possono nascondersi anche invidia, prevaricazioni e rancori. Lavorare sulla sofferenza e darle la possibilità di emergere sembra il solo modo di riconnettere un mondo sfilacciato.

Le storie dalle strade: ecco che cosa accade nella comunità in cui viviamo

«Langhe e Roero: in questo territorio, dal punto di vista politico, sociale, lavorativo o economico, che cosa ti genera più rabbia?» abbiamo chiesto ai lettori. I pensieri si accavallano come se avessero aspettato a lungo una possibilità di espressione. Risponde M.: «La mancanza di una cultura di sostenibilità ambientale e il prevalente disinteresse per la salute dell’ambiente e del paesaggio che ci circonda (e quindi della nostra salute); mi riferisco ai trattamenti chimici e alla mancanza di volontà nel creare un distretto libero da fitofarmaci, glifosato eccetera».

Aggiunge B.: «La mia prima fonte di rabbia è l’ignoranza e la disarmante mancanza di giudizio critico. Purtroppo, per cambiare la situazione sarebbe necessaria una politica di seri investimenti nel campo dell’istruzione, e una presa di coscienza da parte dei media, colpevoli di perseguire una miope corsa al click, a scapito della qualità». Anche l’iniquità rappresenta un nodo critico, dice F.: «Le disparità della società attuale mi generano ira. Abbiamo una società in cui ci sono persone più “uguali” delle altre, dove non sono riconosciute pari opportunità, dove le categorie sociali più deboli trovano poca protezione, dove persistono razzismo, xenofobia, sessismo, omotransfobia. Spero in una nuova politica, che metta l’uguaglianza e il benessere sociale al centro». Le persone sono arrabbiate anche per «la mafia legalizzata», «la mancanza di lavoro per i giovani», «la carenza di opportunità».

E infine, assicura D., «il tentativo delle persone – a volte anche involontario – di manipolare gli altri, soprattutto chi ha meno strumenti culturali. Per questo, si potrebbero organizzare incontri anche per gli adulti in modo da spiegare con esempi pratici le tecniche per stravolgere la realtà». Perché la rabbia non si fermi all’impotenza o al rancore, ma venga mutata in un movimento evolutivo, serve partire da una semplice pratica: l’ascolto e uno spazio in cui si possa esprimere questo antico, difficile ma creativo vissuto.

m.d.

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