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Francesco Luda, nono conte di Cortemiglia, racconta il suo legame con il paese della valle Bormida

Francesco Luda, nono conte di Cortemiglia
Il conte Francesco Luda di Cortemiglia (a destra) con il sindaco cortemiliese Roberto Bodrito.

CORTEMILIA Il conte Francesco Luda di Cortemiglia ha partecipato, su invito del sindaco Roberto Bodrito, all’inaugurazione di Cortemilia è cultura. Il conte ha raccontato episodi e aneddoti legati alla presenza dei suoi antenati nel paese della nocciola.

Qual è il legame tra la sua famiglia e Cortemilia?
«La mia famiglia fu infeudata col titolo comitale di Cortemiglia nel 1784 da Vittorio Amedeo III re di Sardegna. Il feudo di Cortemiglia era diviso in ottavi e la mia famiglia ne ottenne tre, con l’obbligo della gestione della viabilità. Proprio per questo la famiglia Luda sostenne a più riprese i costi per il rifacimento del ponte sul Bormida, andato più volte distrutto dalle alluvioni».

Ha idea di come e quando si è persa la G nel nome?
«Presso la biblioteca nazionale di Torino è presente un’incisione del 1830 in cui è riportata la pianta della città con il nome di Cortemiglia: quindi credo sia posteriore a quella data».

Che importanza ha avuto Cortemilia nella sua vita privata e lavorativa?
«È una presenza costante: da quando ho imparato a scrivere, circa sessant’anni fa, ho sempre scritto Francesco Luda di Cortemiglia, nonostante io sia originario di Carmagnola. Cortemilia fa parte della nostra storia e non potrà essere dimenticata nemmeno dalle generazioni future. Io sono il nono che porta il titolo (puramente storico) di conte di Cortemiglia dal 1784 a oggi. Dopo di me ci sono già altre due generazioni che continueranno a portarlo ancora per molti anni».

Come ha trovato oggi il paese di Cortemilia?
«Mi ha colpito la pulizia e la storia che si legge in paese, dai monumenti ai porticati e ai palazzi, compreso quello denominato Racca, che era della nostra famiglia e veniva usato negli spostamenti da Carmagnola per amministrare il feudo».

Ci racconta un aneddoto curioso?
«Negli anni Ottanta lavorai a Chattanooga nel Tennessee, dove firmai un documento con il mio nome per esteso. Dopo un mese ricevetti una lettera e un distintivo, che conservo ancora, per essere la persona che arrivava da più lontano».

Fabio Gallina

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