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Nevica plastica: è uno studio albese ad avere individuato microparticelle sui ghiacciai

AMBIENTE È albese lo studio scientifico che dimostra come anche sui ghiacciai della Valle d’Aosta vi sia la presenza di microplastiche. Ogni anno sull’area, infatti, cadrebbero 200 milioni di particelle varie, di cui 80 milioni di microplastiche: in pratica ogni 12 mesi “nevicano” 25 chili di plastica sulle montagne più alte d’Italia.

Nevica plastica: è uno studio albese ad avere individuato microparticelle sui ghiacciai 1
Roberto Cavallo, della cooperativa Erica, al Tor des géants, la gara più dura al mondo, durante la quale lo studio è stato condotto.

Il valore, peraltro, molto probabilmente è sottostimato, dal momento che le nevi, terminato l’inverno, fondono e si riversano nei ruscelli e nei torrenti che scendono a valle. Lo studio, condotto dalla cooperativa Erica di Alba, in collaborazione con European research institute, VdA trailers e Aica (Associazione internazionale per la comunicazione ambientale) è stato realizzato nel settembre 2019, durante il Tor des géants®, una delle gare in montagna più dure al mondo. Il dossier, intitolato Nevica plastica, è consultabile sul sito www.envi.info. I campioni di neve sono stati analizzati dall’Arpa Valle d’Aosta in collaborazione con l’Università di Milano, sotto la direzione dei professori Marco Parolini e Roberto Ambrosini del dipartimento di scienze e politiche ambientali. Su otto litri analizzati sono state trovate, a seguito di una rigorosa procedura analitica, 40 particelle, di cui ben il 45% erano microplastiche, il 43% fibre di cellulosa, il 2% lana, mentre per il 10% non è stato possibile arrivare a un’identificazione univoca.

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Ma da dove arrivano queste plastiche? «Oggi è certo che anche negli ecosistemi di alta montagna, considerati incontaminati, siano presenti le microplastiche, che vi arrivano attraverso il trasporto atmosferico», risponde Marco Parolini, professore associato e ricercatore al dipartimento di scienze e politiche ambientali dell’Università di Milano: «Possono però originare anche in loco, dalla degradazione dei rifiuti plastici abbandonati e/o dall’usura dei capi tecnici o dell’attrezzatura di montagna. È per questo estremamente importante non abbandonare alcun rifiuto plastico in questi ecosistemi, al fine di prevenire la formazione di microplastiche e preservarne la loro identità».
Aggiunge Roberto Cavallo, di Erica, promotore e ideatore dello studio: «Vivo una doppia emozione, di soddisfazione, da ricercatore, per aver dimostrato che ci sia ancora molta strada da fare, andando a indagare ambienti ancora mai studiati, ma anche di enorme preoccupazione, da divulgatore, perché il problema dei rifiuti dispersi nell’ambiente è molto più grave di quanto possiamo immaginare. Per questo continuo a correre, testimoniando l’importanza di buttare nulla a terra, ma piuttosto, se lo si vede, chinare la schiena per raccoglierlo».

Maurizio Bongioanni

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