Ansiolitici nel cappuccino della collega per farla licenziare: condannata a 4 anni di carcere

Ansiolitici nel cappuccino della collega per farla licenziare: condannata a 4 anni di carcere

BRA Tenta un progressivo avvelenamento della sua rivale d’ufficio, perché intende «sbarazzarsi» di una collega che potenzialmente potrebbe rubarle il posto in caso di riduzione del personale. Ma viene scoperta e, dopo il processo di primo grado, condannata dal Tribunale di Asti a 4 anni di reclusione. Le due protagoniste di questa storia sono impiegate in un’agenzia assicurativa cittadina. Due donne che lavorano fianco a fianco, che condividono la pausa caffè e le preoccupazioni per un eventuale licenziamento. Tanto che, verso la fine del 2017, una delle due, delegata da tutto il personale dell’ufficio ad andare in un bar attiguo, per prendere i caffè e i cappuccini, avvia il suo «piano criminoso». Mentre transitava dal bar all’ufficio, introduceva nella bevanda destinata alla collega, un potente ansiolitico, che in dosi massicce crea sonnolenza, cefalee, vertigini e debolezze muscolare. La vittima, dopo aver bevuto il cappuccino, iniziava quindi a rallentare le sue funzioni, cambiando anche aspetto. A tal punto che un giorno, in preda a questi «effetti», va a sbattere con la propria auto contro il muro di una casa. Inizia quindi una serie di visite neurologiche che non approdano a nessuna diagnosi. Percependo però che il malessere l’assaliva dopo la pausa caffè, d’accordo con il proprio medico, ne sospende l’assunzione per un mese intero. Durante il quale, in effetti, non si presenta nessuno dei sintomi che lamentava precedentemente. Volendo andare a fondo della vicenda, decide di riprendere a consumare la bevanda, anche per soddisfare la collega che la sollecitava fortemente a farlo, ma – sempre in accordo con il medico – ne consuma solo una parte e il resto lo mette in una provetta, per farlo analizzare. Dopo un’ennesima corsa al pronto soccorso, il responso di un laboratorio analisi di Torino: dentro il cappuccino si trovano quantità elevate di farmaci mirati a provocare stati di sonnolenza, indebolimento muscolare e rallentamento delle attività cerebrali. L’autrice di questo tentativo di avvelenamento era stata anche filmata dai carabinieri di Bra, nell’atto di versare nella tazza questo medicinale. Azione che compiva per «liberarsi della collega», appunto per il timore di essere licenziata. Cosa che, oltre alla condanna in primo grado, è effettivamente avvenuta.

Valter Manzone

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