Con Paolo Tibaldi scopriamo il significato del termine piemontese “Bonànima”

Bozza automatica 410

Bonànima: Defunto/a a cui si è voluto bene; esclamazione rivolta a un individuo che non si incontra da molto tempo

            Quandi che nàsso son tucc bèi, quandi ch’ës maȓìjo son tucc rich, quandi chi meuȓo son tucc bȓau. Quando nascono sono tutti belli, quando si sposano sono tutti ricchi, quando muoiono sono tutti bravi. Ecco servito, con questa trilogia, il Principe dei luoghi comuni. Soffermiamoci però sul terzo, dacché in questi giorni ricorrerà la festività di Tutti i Santi e successivamente dei nostri defunti, buone anime.

Bonànima è dunque la parola di questa settimana. Il significato è di facile intuizione poiché anche in lingua italiana viene adattata con buonanima; trattasi dunque di parola composta da bon-a (buona) e anima (anima), alludendo così al carattere positivo di qualcuno di ormai defunto. In verità, succede di esclamare la parola di oggi, quando si incontra qualcuno che non si vede da ormai molto tempo. Magari ci si è frequentati per un po’ e col passare del tempo, né l’uno né l’altro si è manifestato; quando ci si rincontrerà si alluderà scherzosamente che l’altro fosse ormai sepolto con un sonoro Oh, bonànima!, seguito da tutti gli scongiuri del caso.

Quando invece è davvero di defunto che si parla, si aggiunge bonànima come fosse un commento tra parentesi quando si fa il suo nome nel mezzo di un discorso, in modo tale che l’interlocutore si renda conto di almeno due cose; la prima è che si sta parlando di un defunto, la seconda è che in vita fosse una brava persona: Gepe bonànima oppure bonànima ed Gepe. Quando però il defunto è un parente abbastanza stretto – oggi diremmo congiunto – l’aggettivo bonànima viene rafforzato con un’altra nota esclamazione: che Nossgnoȓ o ȓ’àba ‘n gloȓia (che il Signore ce l’abbia in gloria).

Attenzione però a non confondere Bonanima con Bonòm; quest’ultimo, già narrato qualche mese fa, altro non è che il pover’uomo sottomesso e accondiscendente.

Abbiamo cominciato con la citazione di un luogo comune, non resta che terminare sdrammatizzando il tema con un proverbio in rima, tanto ironico quanto spietato suggeritomi dall’amico Corrado di Canale: Rancin e crin istessa sòrt: ven-o a tàj mach da mòrt (avaro e maiale hanno la stessa sorte, tornano utili soltanto dopo la morte). Ognuno tragga le proprie conclusioni!

Paolo Tibaldi

Banner Gazzetta d'Alba