Latte, stop antibiotici prevenendo la mastite

Latte, stop antibiotici prevenendo la mastite

VETERINARIA «Possiamo prevenire l’infiammazione che causa la mastite: se la patologia non c’è, non si tratta con i farmaci e quindi le tracce di antibiotico, nel latte, diminuiscono. Con queste procedure l’uso di farmaci nelle aziende è crollato, in media, del 70 per cento: in alcuni allevamenti la percentuale raggiunge picchi del 100%». Daniele Giaccone è il responsabile del laboratorio di analisi dell’Associazione regionale allevatori del Piemonte che ha sede a Madonna dell’Olmo; uno dei centri di controllo del progetto sperimentale Masti-stop, un protocollo per la limitazione dell’uso di antibiotici negli allevamenti da latte.

«A differenza delle altre è un’iniziativa pagata interamente dagli allevatori aderenti», spiega Giaccone. Un progetto che annovera, a oggi, decine di realtà, in tutto duemila capi a fronte delle 55mila vacche da latte che vivono nelle stalle della Granda. Le percentuali però sono relative: contano altri parametri come il benessere animale e la prevenzione dell’antibiotico resistente nell’uomo. Lo studio scientifico incomincia da qui, da un principio fisiologico per gli animali che lascia tracce nel prodotto: «Lo sfaldamento del tessuto cellulare all’interno della mammella. Un organo che può produrre fino a cinquanta litri di latte al giorno: lo stress da mungitura è naturale e una parte delle cellule somatiche, dopo essersi staccata, finisce nel latte. Accade anche con quello umano». Le parti danneggiate del tessuto vengono rigenerate, quelle che si staccano finiscono nei campioni: «Oltre le 400mila particelle per millilitro scatta il blocco dei conferimenti».

Un dato che è diventato indicatore prezioso per i tecnici Arap impegnati, da due anni, nel progetto sviluppato in collaborazione con Paolo Moroni dell’Università di Milano.

In breve: lo sfaldamento del tessuto è collegato alla mastite bovina e i rilievi attraverso il latte sono una fotografia dello stato di salute degli animali in stalla. «A questa massa di dati uniamo il sopralluogo: in questo modo possiamo individuare i principali problemi strutturali delle aziende e trovare una soluzione. La mastite bovina può avere molte cause: finora l’approccio è stato quello del trattamento disordinato e casuale», spiega Giaccone. Ora al primo posto c’è la diagnosi: «Le infiammazioni delle mammelle possono essere causate da bacilli diversi sensibili a differenti principi attivi. Usare antibiotici in modo diffuso può rendere resistenti i batteri». Un rischio evitato con le analisi: «Riusciamo a capire a quale ceppo appartengono e indicare farmaci e dosaggi adeguati».

I trattamenti mirati sono l’ultima spiaggia: prima la prevenzione, «tarando correttamente gli impianti di mungitura, perché il vuoto d’aria non solleciti troppo il capezzolo causando l’infiammazione», oppure intervenendo sulle lettiere.

«La mastite può essere causata da batteri che passano dal giaciglio dell’animale alla mammella. Avviene principalmente se la mucca si corica sulle feci: a volte gli spazi nelle cuccette sono inadeguati, a volte sono le lettiere troppo impregnate di urina perché poco rinnovate».

Strategie condensate in una check-list, un programma operativo che guida le verifiche in stalla e viene affidato agli allevatori: «I controlli mensili del latte ci confermano l’efficacia o meno dei provvedimenti. Le spese per gli allevatori diminuiscono» e «alcuni consorzi caseari ci hanno richiesto assistenza perché intendono imporre queste strategie anche ai loro associati. La presenza di farmaci nel latte, oltre a essere dannosa per la salute, altera la caseificazione perché uccide i bacilli responsabili del processo».

Davide Gallesio

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