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Perché solo adesso ci siamo accorti dell’App Immuni e della sua utilità per il tracciamento dei contagiati?

L’omino di Immuni entra nei telefonini degli italiani
Alcune schermate dell'App Immuni

LETTERA AL GIORNALE La curva dei contagi sta salendo in modo preoccupante e la Tv non parla d’altro. Anche i programmi già dedicati a cultura, storia, letteratura – uno tra i tanti Fuori Tg su Rai 3 – si sono piegati all’emergenza Covid-19. Quello che invece è nuovo, è che nell’ambito delle varie trasmissioni i presentatori ci ricordano l’importanza di scaricare l’App Immuni.

Sinceramente non si capisce perché questo strumento per il tracciamento dei contagi, reso disponibile dal maggio scorso, venga pubblicizzato su vasta scala solo ora. Com’è noto la maggioranza degli italiani – accampando ragioni di privacy ma essenzialmente per mancanza di senso civico – non hanno finora scaricato questa applicazione sul proprio cellulare, di fatto impedendone il funzionamento.

Ora, se il Governo, la Rai, i mass media in genere si fossero impegnati in una seria campagna di informazione e di sostegno alla diffusione di Immuni fin dalla tarda primavera, così come hanno fatto alcuni Paesi orientali da dove il virus è partito, avremmo ottenuto quegli stessi risultati di tracciamento e isolamento dei contagi che oggi si stanno rincorrendo coi tamponi di massa.

Dunque con la scusa della difesa della libertà e della democrazia, in realtà mostrando solo superficialità e pressappochismo, abbiamo messo a punto un utile strumento e poi non siamo stati in grado di farlo funzionare.

Le omissioni riguardano però anche altri settori, come le informazioni sulle mascherine. Il Comitato tecnico scientifico ha mai detto qualcosa di preciso sulla differenza tra una mascherina e l’altra? Molti di noi hanno cercato di informarsi in rete circa le specificità dei vari dispositivi di protezione individuale. Personalmente, se esco per una passeggiata o vado a fare la spesa in un supermercato spazioso, mi limito a indossare una mascherina chirurgica oppure quella lavabile distribuita da Comuni e Regioni. Ma se partecipo a un torneo di bridge in un locale al chiuso, o sono di turno al centralino della Cri mi doto di un Ffp2 che mi garantisce una maggiore protezione.

Mi sono anche chiesta: perché mai nessun virologo, al di là di invitare a lavarsi le mani e a indossare la mascherina, non ha mai raccomandato di osservare il silenzio laddove non si riesca a mantenere la distanza? Succede così di salire su un ascensore o un bus con persone che vanificano l’uso della mascherina perché la indossano male o non smettono di parlare, sputacchiando a destra e sinistra. Se la propagazione del virus avviene principalmente attraverso le goccioline, perché non ci impegniamo a tenere la bocca chiusa nei luoghi affollati? Dovrebbe bastare il buon senso, ma un battage pubblicitario dove con parole e immagini si mostrasse il vantaggio non solo di indossare bene le mascherine ma anche di tacere sarebbe cosa buona.

Infine l’affollamento sui mezzi pubblici. Ma è mai possibile che in vista della riapertura delle scuole, si sia discusso per mesi dei banchi monoposto, della misurazione della temperatura, dei test al personale scolastico, senza preoccuparsi di cosa avviene prima e dopo la scuola? Vi pare logico che un ragazzino possa raggiungere la scuola su uno scuolabus affollato e con lo stesso fare ritorno a casa, mentre solo in classe vale il distanziamento?

Oggi che si rischia un nuovo lockdown, i Comuni d’intesa con i dirigenti scolastici prevedono gli orari differenziati, ma non ci potevano pensare prima?

Giulia Colla

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