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Il noce, un’opportunità si affaccia nella Granda

AGRICOLTURA Guardano Oltralpe e Oltreoceano le prospettive della nocicoltura nostrana: abbandonate le varietà da legno, tradizionalmente coltivate negli spazi marginali, gli agricoltori si stanno orientando verso le specie californiane e francesi.
Dalle pianure di Veneto ed Emilia Romagna, epicentro delle nuove sorti della coltura, il noce è approdato anche nel Cuneese, dove alcune aziende stanno investendo in nuovi impianti.

«Un frutto che ha grandi potenzialità commerciali, stante una produzione locale molto bassa», spiega Simone Marchisio, tecnico di Coldiretti Cuneo. «Non si tratta del noce autoctono da legno: questi cultivar, detti a fruttificazione laterale, sviluppano fiori anche sui rami bassi e non solo sulle punte. I nuovi appezzamenti vengono piantati con varietà californiane come la Chandler, la Tulare e la Howard, che hanno oramai trent’anni di storia e producono noci di qualità superiore; dalla Francia poi arriva la Lara, una tipologia molto quotata ma a crescita più lenta».

Il noce, un’opportunità si affaccia nella Granda

Dalla conformazione classica a vaso a quella ad abete: i nuovi frutteti sconvolgono l’immagine tradizionale dell’albero. Minima l’altezza del tronco sgombra: «L’impalcatura a piramide delle piante punta a rivestirle di una parete di rami che, dall’altezza di un metro si restringe verso la punta», prosegue Marchisio. Con questo sistema di potatura, rigorosamente manuale nei primi tempi quindi meccanico, i primi raccolti arrivano dopo quattro anni: bisogna attenderne sei per la piena produttività.

A due condizioni: «L’irrigazione deve essere abbondante e i terreni fertili: il noce è una pianta particolarmente esigente. È fondamentale, inoltre, che, nel fondo scelto, non ci siano dei ristagni d’acqua».

Con questi accorgimenti la richiesta di manodopera è minima; importante, invece, l’investimento in attrezzature: «La meccanizzazione può interessare ogni momento della produzione ma i costi sono elevati: oscillano, per un cantiere completo – da allestire da zero – fra i 100 e i 150mila euro. Con la diffusione degli impianti il contoterzismo potrebbe essere la via per ridurre i costi», prosegue il referente di Coldiretti.

Infine è ancora in corso la sperimentazione di macchine irroratrici capaci di raggiungere l’apice degli alberi: «Al momento usiamo atomizzatori tradizionali ma ne servono di molto potenti». La voce trattamenti è infatti una delle più importanti, visto l’impiego di fitosanitari per preservare il frutto: «Il nemico numero uno sono le batteriosi: fra primavera ed estate possiamo arrivare anche a 15 irrorazioni con rame. Ai funghi si aggiungono la mosca della noce, che ne punge il mallo e lo fa marcire assieme al frutto, e la carpocapsa: contro questi insetti stiamo sperimentando trappole a confusione sessuale», riprende Marchisio.

Alte le rese: si oscilla dai 50 quintali per ettaro con le specie californiane ai 60 dei cultivar francesi a sviluppo più lento: «Consigliamo comunque di mantenere sesti di impianto minimi di cinque metri fra le piante della stessa fila e sette interfilari». L’ultima considerazione del tecnico è rivolta alle superfici: «Appezzamenti di dieci o venti giornate piemontesi sono ancora piccoli visti gli investimenti richiesti. Decisamente più sostenibili e redditive estensioni che partano dalle cinquanta giornate».

«Si vende a tre euro il chilo contro i 30 centesimi delle mele»

PROSPETTIVE «Lo abbiamo fatto per differenziare la produzione e perché siamo stufi di pagare la manodopera per la raccolta»: il viaggio fra chi ha abbracciato la coltura del noce inizia con Giovanni Brero, nelle campagne di Savigliano. «Abbiamo ridotto cereali e frutta fresca e piantato dieci giornate: abbiamo otto varietà di piante; per lo più si tratta di Chandler, le migliori per dimensioni del gheriglio e sottigliezza del guscio. Quest’anno abbiamo raccolto trenta quintali di prodotto: si vende a tre euro il chilo contro i 30 centesimi delle mele che ci costano, a produrle 40 centesimi, mentre per un chilo di noci si spenderà un euro».

Il noce, un’opportunità si affaccia nella Granda 1

Passare dai dati economici a quelli agronomici vuol dire vedere il rovescio della medaglia: «Il noce è il contrario del castagno: la pianta è facile da allevare ma il frutto, invece, è complicato da ottenere. I piovaschi continui di quest’anno ci hanno costretto a fare 22 trattamenti contro i funghi: combatterli è facile ma, dal prossimo anno, con la diminuzione dei quantitativi di rame e la messa al bando del mancozeb (il principio attivo più usato nei fungicidi da contatto) c’è qualche preoccupazione».

I suoi impianti hanno quattro anni; la tecnica di potatura a palmetta è stata scelta anche per evitare una crescita eccessiva in altezza e per le possibilità di raccolta: «Pensavo di usare delle reti, in alternativa ci sono le macchine scuotitrici». Il discorso meccanizzazione è al centro delle valutazioni per il futuro: «Servono una smallatrice e una macchina per il lavaggio. Infine è indispensabile un essiccatoio: parliamo di 80 o centomila euro per un impianto di questo tipo; lo faremo anche perché le possibilità di vendita diretta ci sono», spiega. Contenuti i costi per la realizzazione dei frutteti: «Diecimila euro a ettaro con l’impianto di irrigazione: a meli o peschi, la stessa superficie, può costarne fino a 60mila, comprese le royalties per le nuove varietà». A San Benigno di Cuneo Isabella Moschetti ha distribuito piante delle varietà Chandler e Lara su otto ettari: «Ho intenzione di arrivare a 10 o 12 ettari. I miei figli fanno altro, io dopo 40 anni passati a produrre frutta fresca ho deciso di avvicinarmi a quella in guscio perché meccanizzabile. Credo che i frutticoltori qui siano disposti a investire nel noce per differenziare; un poco come è successo in Emilia: chi faceva peschicoltura ha deciso di cambiare».

Gli impianti non sono ancora in produzione, si tratta di due appezzamenti piantumati nel 2017 e 2019: «La richiesta di manodopera è contenuta ma servono tecnici preparati, noi agricoltori ci stiamo formando». Il nodo commercializzazione è quello sul quale scivola il discorso: «È ancora tutto da fare: sappiamo che ci sono aziende interessate, sarebbe però indicato ottenere un riconoscimento per questa produzione che si va ad avviare».

La meccanizzazione è un tasto dolente: «Inizio a misurare quest’anno le necessità. Si possono raccogliere con delle macchine spazzolatrici ma poi serve un essiccatoio: servono due giorni a trenta gradi per togliere del tutto l’umidità».

Davide Gallesio

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