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Siamo quasi a Natale. Adesso potete tornare?

La povertà è malattia

LA STORIA  «Quando sarà finito tutto?». Se lo chiede ogni giorno una donna di 92 anni, stanca sulla sua sedia a rotelle ma con la mente lucida, mentre trascorre l’ennesima giornata nella sua camera, in una delle residenze per anziani della nostra area. Il “tutto” di cui parla al telefono con i parenti è il Covid-19, che lei chiama semplicemente «la malattia». Lo dice in piemontese, riferendosi a un’entità oscura, che ha dovuto imparare a conoscere, ma che ha scardinato equilibri, interrotto legami e portato via volti amici.

In primavera, nessuno nella sua casa di riposo si era ammalato. Certo, anche lei aveva dovuto rinunciare a vedere i familiari. Ma, per il resto, la pandemia sembrava lontana, nella vita di fuori. Due mesi fa, è cambiato tutto: le persone attorno a lei hanno iniziato ad ammalarsi e ogni mattina il salone in cui era solita passare le giornate si svuotava di più. Fino a quando, dopo uno dei tanti tamponi, anche lei è risultata positiva.

Quando si hanno 92 anni, tutto è prezioso: la propria stanza, il proprio posto a tavola, gli orari di sempre, i vestiti nell’armadio. Il Covid-19 per gli anziani non è grave solo dal punto di vista clinico, ma anche perché è andato a intaccare equilibri vitali. «Mi stanno portando in un’altra stanza: non voglio andarci; ho paura», aveva detto un giorno, al telefono, allarmata, l’anziana ai suoi cari. Era andata nel “reparto Covid”, come viene chiamato dall’esterno. Per lei, sono stati 15 giorni sospesi, in attesa di qualcosa: i sintomi della malattia, nel suo caso quasi del tutto assenti.

Sono stati giorni che definire duri è un eufemismo, in cui da casa l’hanno sentita stanchissima, a volte troppo fragile anche solo per premere il pulsante verde sul telefono e trovare la forza per parlare. Sono stati giorni in cui è aumentato il numero di amici che se ne sono andati, che fino a qualche settimana prima erano seduti vicino a lei.

Alla fine, la donna ce l’ha fatta, nonostante i suoi acciacchi, che sembravano una condanna. Piange spesso, perché le manca la sua vita. Ma la sua storia può raccontarla, perché è tra quelli che hanno sconfitto il virus. A volte chiede: «Ma sono ancora malata?». Quasi non ci crede. «Pensavo che a 92 anni la mia vita sarebbe stata diversa: non è la vecchiaia che volevo», dice, rassegnata.
Tra poco sarà Natale: saranno quasi 10 mesi che non vede i familiari, se si tolgono i pochi incontri a distanza in estate. «Adesso è finito tutto? Potete tornare?». Quando le spiegano che è impossibile, sta in silenzio, perché è un dolore: «Sono stata forte, ho battuto la malattia e sono ancora qui». E continua a stringere i denti, nella lotta per vivere che porta avanti ogni giorno.

Francesca Pinaffo

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