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Addio a Franco Loi, tra i grandi autori del Dopoguerra, più volte ospite ad Alba

LUTTO Avrebbe compiuto 91 anni il 21 gennaio il poeta Franco Loi, morto lunedì 4 gennaio a Milano, la città dove si era trasferito nel 1937 da Genova al seguito del padre ferroviere. Della città meneghina aveva amato il dialetto tanto da renderlo la lingua delle sue composizioni. Considerato uno dei maggiori poeti del Dopoguerra, si era rivelato nel 1975 con la sua raccolta più celebre, Strolegh, pubblicato da Einaudi con prefazione di Franco Fortini. Tra le altre opere, tre anni dopo, la raccolta Teater, così come L’aria de la memoria, che raccoglie tutte le poesie scritte tra il 1973 e il 2002.

Addio a Franco Loi, tra i grandi autori del Dopoguerra, più volte ospite ad Alba
Il poeta Franco Loi

Alla poesia, i cui temi ricorrenti erano la guerra, la scoperta del male nella storia, il rimpianto di un paradiso perduto, ma anche la costanza dell’invocazione della preghiera, Loi affiancava l’attività di saggista, ma è con le opere in versi che vinse numerosi premi. Il suo stile era all’insegna della libertà espressiva assoluta, in una mescolanza di registri, dal grottesco al sarcastico al satirico.

Dolore per la morte di Loi è stata espressa anche dall’Anpi: «Fu da noi spesso invitato nella ricorrenza del 10 agosto, in piazzale Loreto, a testimoniare, con passione e commozione, il terribile eccidio che la Milano antifascista ha mai dimenticato», da detto Roberto Cenati, presidente dell’Anpi milanese. Loi, che all’epoca dell’eccidio nazifascista aveva 14 anni, aveva rievocato nei suoi scritti la scena: «Nessun grido, nessun pianto. I fascisti erano lì, giovani e spavaldi. Ogni tanto provavo a distogliere gli occhi, e vedevo quei giovani in camicia nera, che fissavano la gente e sembrava volessero provocare. Ma la gente era immobile, come inchiodata, con gli occhi bassi e le spalle pesanti».

Tra i tanti riconoscimenti, Franco Loi nel 2012 ricevette ad Alba il titolo di Maestro di Bere il territorio, premio speciale del concorso di Go wine per gli studenti delle scuole superiori. Quattro anni fa il poeta tornò nella nostra città per partecipare alla presentazione di Frammenti sparsi, raccolta del direttore di Gazzetta don Giusto Truglia, insieme al direttore di Vita Pastorale don Antonio Sciortino. Tenne una lezione sul tema “Poesia: una strada per conoscere sé stessi”. Intervistato, disse: «Il fare poesia non è comporre rime baciate e alternate, l’endecasillabo e il decasillabo. È in ultima istanza scrivere quello che la nostra interiorità ci dice».

Riprendiamo l’intervista pubblicata il 15 marzo 2016 su Gazzetta d’Alba.

Franco Loi: «Fare poesia è scrivere quello che il nostro vero io ci dice»

INTERVISTA Franco Loi nasce a Genova nel 1930. Collaboratore di Mondadori (1960-1983), dal 1987 scrive per l’inserto culturale per Il Sole-24 Ore. È considerato il massimo poeta vivente in lingua dialettale. Ha esordito in poesia con I Cart (Trentadue) e Strolegh (Einaudi). È stato tradotto in diversi Paesi d’Europa e Asia, in Brasile e Venezuela e negli Stati Uniti. Venerdì scorso Loi è stato protagonista della serata organizzata da Gazzetta nella sede di Banca d’Alba per la presentazione del volume di poesie Frammenti sparsi di don Giusto Truglia.

Che cos’è la poesia, e soprattutto, esiste una correlazione tra essa e la conoscenza di se stessi?

«La poesia è qualcosa di profondo. È come il sogno. Noi non andiamo a letto la sera dicendo: stanotte sognerò questo. Non siamo in grado di ordinare la nostra interiorità, la nostra anima sa più di quello che abbiamo nella testa. Inoltre i sogni li dimentichiamo se non siamo attenti. Perdiamo gran parte della nostra esperienza se non prestiamo loro la dovuta cura e ascolto. Nello stesso modo dobbiamo essere attenti al nostro inconscio, alla nostra vera anima interiore. Il fare poesia non è fare rime baciate e alternate, l’endecasillabo o il decasillabo. È in ultima istanza scrivere quello che la nostra interiorità ci dice. Come affermava Jung, se impariamo a conoscerci davvero scopriremo un punto profondo in noi in cui si può manifestare la Voce e possiamo vedere la Luce. Un grande scienziato, Einstein, diceva: non si perviene agli eventi universali per via di logica, ma attraverso l’intuizione. E l’intuizione non la facciamo noi, ma il rapporto amoroso e simpatetico con l’esperienza».

Ci può fare un esempio?

«Se dicessi a qualcuno: dove sei stato quest’estate? Lui risponderebbe: al mare, sulla spiaggia, con queste persone, eccetera. Ma una tale descrizione non racconterebbe davvero il vissuto, le sensazioni profonde e reali, non corrisponderebbe al linguaggio dell’anima. Quando Cristo manda in giro gli apostoli non consegna loro una teologia, solo due comandamenti: ama il Signore Dio tuo e ama il prossimo tuo come te stesso. E intendeva “Il Dio che trovi dentro di te”, non il Dio che hai imparato a scuola a memoria».

Cos’è Dio, per lei?

«Dio è l’essenza della vita, che noi non conosciamo: per quanto sappiamo sulla natura o sull’uomo, non sappiamo nulla su Dio».

Matteo Viberti

 

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