Che cosa distingue un profeta da un ciarlatano?

Che cosa distingue un profeta da un ciarlatano?
Gesù guarisce un indemoniato, miniatura da un Libro d’Ore dei fratelli Limbourg (Chantilly, museo Condè).

PENSIERO PER DOMENICA – IV TEMPO ORDINARIO – 31 GENNAIO

Nei momenti difficili come quello che stiamo vivendo, servono profeti. Ma nel senso biblico del termine: non ciarlatani che pretendono di prevedere il futuro, solleticando i desideri di chi li ascolta, ma uomini capaci di leggere il presente con l’occhio di Dio, capaci di parlare la lingua di Dio.

Dio non ha fatto mancare questi profeti al suo popolo. L’apparente “profezia” messa sulla bocca di Mosè che leggiamo nel Deuteronomio (18,15-20) è in realtà un testo scritto nel tempo della monarchia, quando i profeti erano ben vivi e presenti e spesso erano i consiglieri, non sempre ascoltati, dei re. L’autore sacro mette in guardia dalla tentazione di attribuire a Dio quelle che sono considerazioni umane, spesso di comodo. Distinguere i veri profeti dai falsi è una delle sfide più ardue, soprattutto in tempi in cui politici di problematica valutazione tendono a presentarsi come inviati di Dio o difensori del progetto di vita di Gesù. Una chiara indicazione del ruolo del profeta viene oggi da papa Francesco, dalle sue valutazioni e dai suoi giudizi sulla realtà, spesso controcorrente rispetto al pensiero dominante.

Gesù è stato un profeta, in parole e opere. Come leggiamo nel Vangelo di Marco (1,21-28), i testimoni degli inizi della sua vita pubblica sono stati colpiti dal suo modo di parlare e di agire. Innanzitutto Gesù parlava “con autorità”: le sue parole erano nuove e originali. Non entrava nelle discussioni legalistiche dell’epoca, che appassionavano gli scribi e i farisei, non proponeva una vaga teoria filosofica, ma un messaggio di liberazione e di speranza. Non accarezzava né l’orecchio dei potenti né le aspettative di un benessere materiale a buon mercato del popolo, ma si rivolgeva prioritariamente ai poveri, agli scarti della società. Invitava tutti a pensare in grande, ad accogliere il regno di Dio e a misurarsi con questo progetto di vita assolutamente nuovo.

Gesù si è fatto carico delle sofferenze degli uomini. La guarigione di un indemoniato nella sinagoga di Nazareth, non è solo il primo miracolo raccontato nel Vangelo di Marco, ma ha un valore emblematico: Gesù, dopo aver proclamato l’avvento del Regno e dopo aver chiamato i primi apostoli, mostra loro qual è il primo dovere del discepolo: chinarsi sulle sofferenze della gente, annunciare a chi soffre, nel corpo o nello spirito, la vicinanza di Dio. Questo fa il profeta, non a parole, ma con i fatti. Lo ha ripetuto spesso papa Francesco: oggi l’unico vero sguardo profetico sulla storia è ripartire dagli ultimi, dai diseredati, dagli scarti.

Lidia e Battista Galvagno

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