Il futuro del Piemonte si gioca con i fondi europei

IL COLLOQUIO Parliamo con il consigliere regionale del Partito democratico Maurizio Marello in un momento molto difficile per la situazione sanitaria e socioeconomica del Piemonte. A pandemia e campagna vaccinale ancora in corso, anche la politica sabauda è chiamata a scelte decisive per il futuro, indicando la direzione da imprimere ai progetti legati ai fondi in arrivo dall’Ue. Si tratta di un passaggio epocale, una svolta che non dobbiamo mancare.

Da sindaco di Alba a consigliere regionale a palazzo Lascaris. Come ha vissuto le due esperienze, Marello?

«Sono stati due periodi molto diversi. Quello da sindaco di Alba è stato totalizzante e penso non abbia paragoni: ogni giorno il contatto diretto con la gente, con questioni spesso inedite, con i problemi. In Consiglio regionale il ritmo è diverso, più intriso di politica, in senso buono. Si affrontano questioni di tipo amministrativo, ma a più ampio raggio. Devo dire che mi è stato molto utile fare il sindaco: mi sono costruito un bagaglio importante, che mi ha insegnato a mantenere sempre i piedi bene a terra. Il problema di chi entra in un’assemblea legislativa – in Regione o in Parlamento – senza aver fatto la gavetta è, infatti, di rischiare uno scarso collegamento con la realtà. Quando si affrontano i provvedimenti di legge il pensiero deve andare alla loro ricaduta concreta. E i temi di cui mi occupo oggi a Torino sono stati oggetto di approfondimento nell’impegno cittadino, per esempio in materia edilizia, urbanistica, agricola o, ancor più, infrastrutturale».

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In un contesto fortemente caratterizzato dalla pandemia, come si può muovere la Regione?

«La mia esperienza in Regione è marchiata dal Covid-19. Sono stato eletto a metà 2019 e, nei mesi successivi, come si dice, “ho preso le misure”. A febbraio-marzo 2020 è apparsa la pandemia, che ha segnato e segnerà l’agenda almeno fino alla fine del 2024. L’emergenza sanitaria – ancora in corso – ha lasciato macerie enormi e dovremo quindi occuparci di ricostruzione socioeconomica per tutto il nostro mandato».

Ma questa volta ci sono i soldi, pare. Ne state discutendo con il bilancio?

«Questo dobbiamo chiarirlo. La Regione, prima del Covid-19, aveva 8 miliardi di euro di debiti, in gran parte legati alla sanità. Si tratta di una lunga vicenda, che ha portato al commissariamento del Piemonte al tempo della Giunta di Roberto Cota. La situazione è poi stata affrontata da Sergio Chiamparino: ne siamo usciti con grandi sacrifici e la rateizzazione del debito. Per 40 anni, ogni anno il Piemonte deve versare 560 milioni di euro allo Stato, che potrebbero andare in investimenti. Il bilancio, dunque, non consente voli pindarici, al netto del Covid-19 e dei fondi europei strutturali (non parlo del Recovery fund). Ora dobbiamo programmare la gestione di un miliardo e 300 milioni di fondi europei. L’Ue ci aiuta a fare investimenti altrimenti impossibili in agricoltura, sanità, sviluppo. Va detto che la pandemia ha comportato spese importanti: il presidente Cirio ha parlato di 230 milioni di euro».

Però, ci saranno anche gli euro del Recovery fund.

«Certo, questo è un altro capitolo: su 209 miliardi che dovrebbero entrare nel nostro Paese (70 a fondo perduto, gli altri a un tasso d’interesse bassissimo), circa 13 dovrebbero arrivare in Piemonte. Sono moltissimi, 10-11 volte i fondi strutturali Ue che si utilizzano in sette anni (e che l’Italia impegna solo al 40-50 per cento) nella nostra regione. Il problema del Recovery resta peraltro quello di riuscire a spendere velocemente e bene, su progetti che aiutino il Paese e i giovani, evitando di fare solo debito».

Quindi un gruppo di coordinamento come aveva ipotizzato l’ex premier Giuseppe Conte sarebbe stato utile?

«Conte si è posto il problema dello stato dell’Amministrazione pubblica che, a causa del patto di stabilità e delle manovre degli ultimi vent’anni, si è spolpata sul piano delle persone e della qualità. Ma ora ci sta lavorando Mario Draghi. Ci troviamo in un quadro che manifesterà la sua drammaticità nei prossimi mesi. Il sistema Paese deve reagire, pure se la sfida è difficilissima: gli unici fondi disponibili sono quelli europei: dobbiamo ottenerli e usarli».

Lei pensa che potremo vincere la sfida?

«Per il Recovery fund, come Regione abbiamo composto un corposo elenco, anche con alcuni progetti che non hanno molte connessioni con l’idea del Next generation Eu. È evidente che la partita si gioca a livello nazionale, ma in Piemonte possiamo avere una migliore capacità programmatoria. Faccio un esempio: abbiamo varato una legge per finanziare il mondo delle Rsa con 44 milioni per 1.800 strutture in situazioni molto difficili, con buchi enormi per il Covid-19: la cifra non è sufficiente. La pandemia deve peraltro farci rivedere globalmente l’organizzazione dell’assistenza agli anziani, puntando anche su quella domiciliare».

«Nucleare, un argomento da risolvere in Regione»

Marello, che cosa pensa del dibattito sul nucleare?

«In Consiglio regionale abbiamo ascoltato gli esperti della Sogin – la società pubblica per il decommissioning degli impianti nucleari italiani e la gestione dei rifiuti radioattivi – che hanno chiarito il tema. La ricerca dei nuovi siti è un processo partito nel 2010, da chiudere. In Italia le scorie sono stoccate in 19 siti: in Piemonte ne abbiamo 4-5. Occorre arrivare a un’unica area, messa in sicurezza, in cui depositare 95mila metri cubi di rifiuti radioattivi. Il 60% arriva dalle centrali che avevamo, il 40 da medicina, ricerca, industria. Nel 2015, escluse le zone del Paese che non possono essere utilizzate, si sono identificati 67 siti potenziali – 8 dei quali in Piemonte – tra cui scegliere il più adatto. Il 5 gennaio il Governo ha desecretato lo studio. Si tratta d’individuare 150 ettari di terreno, sui quali costruire il deposito e le opere accessorie, tra cui un grande centro di ricerca. In 300 anni le scorie a bassa intensità perderanno la loro radioattività, le altre invece resteranno stoccate per lunghissimo tempo. Il Piemonte è la regione con la più alta intensità radioattiva d’Italia e siamo quindi molto interessati a risolvere quanto prima questo problema».

Le mie proposte per il governatore Cirio

Quando si chiuderà la discussione sul bilancio in Regione, Marello?

«Il documento dev’essere approvato entro il 31 aprile. Ma procede di pari passo con il piano sanitario. Siamo indietro su entrambi i fronti, complice l’emergenza pandemica. In realtà, esistono importanti documenti già realizzati dalle task force nominate dal presidente Cirio e guidate da Fazio e Monchiero, che possono costituire la base del nuovo progetto sociosanitario. Inoltre, bisogna riconoscere che, nonostante gli scetticismi, l’Europa un colpo l’ha battuto. Ora sta a noi muoverci al meglio. Sembra passato un secolo da quando Salvini diceva di non volere i fondi dell’Unione…».

La vostra opposizione in Consiglio ha tenuto una linea non troppo intransigente in questi mesi, anche a causa della pandemia. È così?

«Sin dall’inizio il Pd aveva le idee chiare su un’opposizione rigorosa, intransigente, ma costruttiva. Molte volte abbiamo presentato proposte alternative, indicando che cosa fare. La pandemia ci ha chiamati a un senso di grande responsabilità. In alcuni casi siamo stati molto duri, specie nei momenti in cui il Piemonte ha dato pessime dimostrazioni di sé stesso: al tempo delle mascherine o dei tamponi carenti o dei problemi alle Rsa, per esempio. Oppure nella seconda fase pandemica, quando occorreva dimostrarsi più preparati. Certamente abbiamo cercato di dare una mano».

Quali sono le tre cose che farebbe subito se fosse al posto del presidente?

«In primo luogo – ancor oggi, pure se doveva essere fatto prima, a inizio pandemia – un sincero appello all’unità a tutte le forze: proviamo a vedere insieme di qui al 2024 tre o quattro grandi impegni da portare avanti. In secondo luogo, abbandonerei uno stile eccessivamente comunicativo, che forse paga ma non aiuta a unire. Infine, bisogna affrontare i grandi temi: sanità, trasporti (dobbiamo rivedere completamente la mobilità pubblica), formazione professionale, lavoro, agricoltura, turismo. Proverei a intervenire, per dare un nuovo modello al Piemonte. Quello che avevamo era già in crisi prima del Covid-19, anche se nelle nostre zone si avvertiva molto meno rispetto al resto della regione».

Vede una via d’uscita alla crisi?

«Se oggi possiamo intravvedere l’uscita dall’emergenza sanitaria attraverso il vaccino, dalla crisi socioeconomica ci allontaneremo con un po’ di tempo in più, visto che quella del 2008 ci segna ancora profondamente. La politica, però, deve cambiare del tutto la sua cifra, evitando di basarsi solo sui sondaggi e sul consenso immediato».

Le pare possibile?

«È una questione di sopravvivenza. In questo Paese ci si riprende sempre all’ultimo istante. Quindi, ho fiducia. Il Piemonte è una delle regioni più anziane d’Italia, ma dobbiamo creare condizioni di speranza per le famiglie. Ho grande fiducia nei millenials (i giovani nati intorno al 2000): hanno vissuto un periodo di crisi profonde, ma hanno consapevolezza, intraprendenza e voglia di cambiare le cose. Sono slegati dalle ideologie del Novecento e spero entrino nella politica, per migliorarla, come fanno con le battaglie ambientali».

Maria Grazia Olivero

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