Claudio Rosso: «Dolcetto delle Langhe, idea antica da riconsiderare»

DENOMINAZIONI Il dibattito che si è acceso su queste colonne in merito al Dolcetto dimostra quanto siamo legati a questo vitigno che invece stenta sui mercati e viene ridimensionato dal modificarsi dei consumi. Giancarlo Montaldo fa una serie interessante di osservazioni tra le quali quella di introdurre una tipologia di “alta collina” . Idea molto intelligente e in linea con i tempi. Speriamo che il consorzio la valuti nei suoi organi decisionali.

L’idea di Giancarlo Montaldo

In merito a Diano, tutto si è fermato perché non si vuole rinunciare alla Docg, passaggio necessario per inglobarsi nella Doc Dolcetto d’Alba. Credo comunque che a Diano non ci sia Vino: per la salute del settore non basta la quantità 1interesse a completare l’operazione. Almeno questo è ciò che mi si fece capire tre anni fa quando ne parlai alla Bottega comunale.
Ma il mio intervento parte dalla volontà di segnalare come sia importante conoscere la storia per affrontare e deliberare verso il futuro. Da questa idea è partita tre anni fa un’iniziativa che si è adesso concretizzata nella fondazione Radici per le memorie di Langhe Roero e Monferrato. Tra i primi documenti che stiamo archiviando e digitalizzando ho ritrovato una lettera del 24 ottobre 1983 scritta da Renato Ratti a Giacomo Oddero, allora presidente della Camera di commercio di Cuneo, in cui ritroviamo esattamente quella che è ancora adesso la proposta fatta da Giancarlo Montaldo dalle pagine dello scorso numero di Gazzetta.

La lettera di Renato Ratti a Giacomo Oddero del 1983

Ratti esamina i vari vitigni con l’autorevolezza nota (e derivata dai sempre intensi colloqui che aveva con varie persone e produttori) e quando arriva al Dolcetto ricorda che bisogna abbassare il grado alcolico, rivedere la Doc Langhe Monregalesi (che infatti sarà inglobata nel Dogliani) e creare una Doc Langhe che dia unità territoriale. Ratti scrive nel suo ufficio di Asti dove è direttore del Consorzio del Moscato: anche questo è un elemento storico su cui tanto ci sarebbe da dire. Le Doc tutte sono dovute alla caparbietà di un politico di Casale, il senatore Desana, che colse il momento favorevole nel 1963 imponendole con un decreto del presidente della Repubblica (e non una legge, cosi da evitare i veti incrociati parlamentari).
Nel 1969 nasce il disciplinare di Barolo e Barberesco e nel 1974 si arriva ad altre tra cui Dolcetto d’Alba, di Diano e Dogliani. L’idea di fare una sola grande denominazione sotto il nome Langhe c’è, ma le divisioni storiche prevalgono. Il Doglianese ha una sua tradizione, appartiene a un’area diversa che si riferisce a Mondovì per istruzione, sanità, diocesi e via dicendo. Il principio attuale dei distretti economici che fanno di Alba e colline una unità moderna in quell’epoca sono solo all’orizzonte. Ancora ora parte del Doglianese gravita con l’ente turismo di Cuneo. Insomma nascono più denominazioni e la cosa funziona, almeno per un po’.
Bisogna però guardare avanti, in un mondo dove al principio del locale si affianca il globale. Con questa prospettiva sarebbe il momento di fare una revisione seria delle denominazioni d’origine che non sono affermazioni di campanile, ma strumenti di identità e al medesimo tempo di mercato. Ancora una volta dobbiamo guardare alla Francia e al modello delle appellation, che si affermarono già nell’Ottocento. Tra poco ci sarà il rinnovo delle cariche del Consorzio vini e guardiamo al prossimo triennio come ad una sfida a cui saranno chiamati i prossimi amministratori. Chi si ferma è perduto.
Claudio Rosso

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