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Confido che i giovani custodiscano l’amata Langa

LETTERA AL DIRETTORE Su Gazzetta d’Alba di martedì 9 marzo, leggo con stupore che il terreno dove c’era un bel noccioleto della Cascina Langa è diventato un cantiere per una nuova costruzione. Non è solo un grido per gli ambientalisti, ma per tutti i podisti che da quel sito si fermavano per ammirare uno dei paesaggi più belli di Langa.

Già due anni fa vidi che in quel sito avevano estirpato il noccioleto, mi informai da alcune persone del luogo sull’accaduto, mi dissero che era subentrato un nuovo proprietario, l’azienda Gaja di Barbaresco. Allora pensai che al posto del noccioleto sorgesse un vigneto, visto il grande successo dello spumante di Langa. Purtroppo quello che deducevo non si è avverato.

Mi chiedo e pongo una domanda, le Langhe come il Monferrato sono patrimonio Unesco, come mai le autorità competenti non sono intervenute? Perché un posto così bello con storie fenogliane non è stato tutelato? Inoltre quest’anno si festeggiano i cento anni dalla nascita del nostro scrittore Beppe Fenoglio. Sono domande che meritano una risposta. Ancora una volta noi cittadini amanti delle nostre colline di Langa dobbiamo subire modifiche ambientali in nome del business.

Mi viene in mente quello che è successo a Serralunga d’Alba, dove in mezzo a pregiati vigneti di Nebbiolo da Barolo ci fu una colata di cemento per costruire un grandioso resort. Sento il bisogno di sfogarmi, essendo un semplice cittadino avanti negli anni, facendo un appello alle giovani generazioni perché sappiano custodire e difendere questa nostra amata Langa.

G.R.

Gentile signor G.R., rispondo a lei e al signor Mortarino (la sua lettera è qui sotto). Gazzetta ha fatto il suo dovere informando su quanto sta avvenendo in Langa, comprese le rassicurazioni del Comune di Trezzo Tinella e dello stesso imprenditore, che non si sono sottratti alle domande. A Gazzetta sta a cuore la tutela del territorio in tutte le sue componenti, e ci battiamo perché questa mentalità si diffonda, ma se vengono rispettate le leggi vigenti la questione diventa di opportunità e di sensibilità ecologica.

g.t.

Confido che i giovani custodiscano l’amata Langa

Angelo Gaja è cambiato rispetto a quanto pensava dieci anni fa?

Il 27 maggio 2011, Laurana Lajolo mi invitò a un dibattito sul “Patrimonio del terreno agricolo”. Raccontai del Movimento nazionale stop al consumo di territorio, del Forum nazionale salviamo il paesaggio, delle battaglie di molti agricoltori in Italia per mantenere a destinazione agricola i loro terreni “baciati” come edificabili. Tra i relatori, al mio fianco, Angelo Gaja annuiva. Si complimentò per le iniziative da me segnalate, che mi disse di condividere: «Il territorio e il paesaggio sono il nostro vero valore aggiunto, ma non tutti lo capiscono».

La scorsa settimana, nel cuore dei territori fenogliani, mi sono imbattuto in una devastazione: sotto Cascina Langa un cantiere enorme. È la nuova cantina (sotterranea) di Angelo Gaja. Lo stesso che dieci anni fa mi strinse la mano condividendo le azioni per la salvaguardia della “sacralità” del suolo e del paesaggio e che mi porse il suo biglietto da visita dicendomi: «Mi venga a trovare». Allora fu per me il piacevole riscontro di una sensibilità trasversale che da mesi stavo riscontrando anche (finalmente) al di fuori dal solito circuito di attivisti ambientali. E che questa rispondenza arrivasse da uno dei principali players del mondo del vino, fu uno stimolo in più per moltiplicare l’impegno.

Purtroppo il suo biglietto da visita è rimasto in un cassetto e mi è mancata l’occasione per andarlo a trovare, magari capire che il Gaja pubblico covava esigenze individuali dissonanti. Qualche anno fa fui sorpreso dal notare che i terreni ben esposti che accompagnano il quartier generale della Resistenza piemontese (Cascina Langa) fino al Boscasso per annunciare il vicino Pavaglione, luogo della Malora, stavano cambiando forma: i noccioleti venivano estirpati. L’area era stata acquistata dall’azienda di Gaja e immaginai che il winemaker si stesse preparando per un impianto di vigna: quella terra è adatta per le uve a bacca bianca e l’altitudine (700 metri) mi faceva presagire che anche per lui fosse giunta l’ora di produrre “bollicine” o della viticoltura “sempre più in alto” (fenomeno già preoccupante) per fronteggiare il cambiamento climatico.

I media riportarono le dichiarazioni tranquillizzanti di Gaja che parlavano di un semplice investimento. In effetti i terreni divennero prato, una collina ridente e pacifica durata alcuni anni. Ora paiono un campo di battaglia. «Dopo i campi di sterminio, ora abbiamo lo sterminio dei campi», scrisse il poeta Andrea Zanzotto. Una guerra perennemente in atto. In un luogo che echeggia di guerre, in cui il Johnny fenogliano e tanti altri partigiani trovarono rifugio nel terribile inverno del 1944.
Una guerra che continua. Il nemico è ora la terra, il suolo, il paesaggio, il territorio. Gli stessi elementi che qualunque winemaker riconosce come atout essenziali per uno storytelling in grado di evidenziare qualità e differenze e costruire (o mantenere) un’immagine, narrando i “valori” che compongono un brand. Non so se Angelo Gaja sia passato in queste settimane a visitare il “Ground zero” . Se non lo ha ancora fatto, mi permetto di invitarlo e a dirci le sue emozioni. Se lo ha già fatto e non ha ritenuto di aprire bocca, ne prenderemo atto.

Immagino che Gaja ritenga che fra qualche anno, rimosso il cantiere, quelle ferite saranno risanate da una cantina sotterranea ricoperta di verde e circondata da curatissimi vigneti: il tempio di Gaja. Ma non il tempo di Gaia.

Dentro a una bottiglia di vino che cosa c’è se non amore? “Darmagi”, mi verrebbe da dire. Cioè, che peccato! “Darmagi” è però anche un rinomato Cabernet Sauvignon di Gaja: un vino con cui oggi non inviterei nessuno a brindare.

Alessandro Mortarino

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