Mercato dei suini, prezzi in risalita dopo il crollo dei mesi scorsi

Gli allevamenti suini hanno solo effetti negativi? 1

ALLEVAMENTO / 1 Dieci per cento in più sul prezzo degli animali vivi, venduti dagli allevatori: secondo Coldiretti Cuneo è l’effetto immediato dell’entrata in vigore della nuova etichettatura che impone di indicare la provenienza della materia prima di tutti i prodotti a base di carne di maiale venduti nei negozi della Penisola. La norma, vigente dal 31 gennaio, spiega Davide Roà, dirigente dell’associazione di categoria, è un riconoscimento importante «perché il crollo del mercato suinicolo, nel 2020, ha riguardato i prezzi, non i consumi che sono rimasti invariati. Il sistema di tracciabilità introdotto (nato, allevato e macellato in Italia) dà a chi consuma un livello di affidabilità che prima apparteneva solo ai marchi del Dop». Un provvedimento che impatta ampiamente sul contesto piemontese, «secondo solo alla Lombardia nella fornitura di parti pregiate alle filiere del Parma e San Daniele: destinazione, però, minoritaria, visto che i tre quarti della produzione sono riservati al prosciutto cotto e altri insaccati oggi tenuti al rispetto di requisiti precisi per fregiarsi dell’origine nazionale». L’obbligo di riportare Paese di origine, macellazione e trasformazione in etichetta – fatte salve le scorte di magazzino – arriva in un momento in cui, con il blocco delle esportazioni della Germania, «si temeva che la carne finisse sul mercato comunitario».

Le oscillazioni di prezzo

In soldoni un maiale vivo, oggi, vale un euro e 40 centesimi il chilo, per l’allevatore: «Dal 2008 le stime vengono dalla Commissione unica nazionale che si riunisce ogni settimana a 50mila euro di multa a nove aziende dopo i controlli dei Nas sugli allevamenti suini della GrandaMantova». Quotazioni in risalita per i suini: dopo il crollo del 2020, il valore degli esemplari nazionali ha ricominciato a crescere. Giovanni Battista Dellavalle gestisce con il figlio Federico un allevamento a Sommariva Perno: le 420 scrofe partoriscono ogni anno fino a 12mila maialini, la maggior parte dei quali ingrassati in azienda, secondo una modalità detta a ciclo chiuso. «Oggi possiamo dire di non lavorare in perdita, come è accaduto nel 2020», spiega. «I capi sono valutati un euro e 40 centesimi al chilo: vuol dire 247 euro per ogni esemplare». Gli animali ingrassano fino al nono mese, quando raggiungono i 175 chilogrammi fissati dal disciplinare dei prosciutti di Parma e San Daniele, filiere che assorbono la parte maggiore delle cosce prodotte nel Cuneese. «Un margine minimo c’è, considerando che l’anno scorso avevamo perso cento euro per maiale passando dai 284 percepiti vendendo a un euro e 60 centesimi a gennaio e febbraio, ai 185 a capo dopo il tonfo dei prezzi fino a un euro e tre centesimi: somme ingenti per chi movimenta settemila capi l’anno».
«Il problema è nell’aumento che si è avuto, da settembre, sulle materie prime per i mangimi: parliamo di maggiori costi sul suino finito, fra i 20 e i 25 euro. Ragionando sul mangime il rincaro è arrivato fino a sei euro il quintale». Sul banco degli imputati ci sono la soia, «passata da 33 euro il quintale a 46 con punte di 55 nei mesi scorsi»; il mais, l’orzo e la crusca, «pagata 19 euro quando il frumento costa 21 euro il quintale». Voci di uscita rilevanti visto che, in sei mesi, un animale ha bisogno di cinquecento chili di mangime per crescere dai 30 chili fino a diventare maiale da coscia; spese alle quali si aggiungono i costi di stabulazione (acqua, luce e deperimento delle strutture), «in media fra i 26 e i 30 euro per animale». Situazione sconosciuta per chi macella: «Il 2020 per loro è stato un anno memorabile in termini di ricavi. La sospensione temporanea delle attività, per casi di positività al Covid-19, ha portato gli allevatori a un esubero di suini grassi, con il calo di prezzo».

Le conseguenze

Una situazione che avrà, secondo l’allevatore, delle ripercussioni: «Molte aziende, viste le quotazioni in ribasso, hanno macellato le scrofe perché i suinetti erano scesi a 60 euro: in questi giorni vediamo l’andamento opposto, le quotazioni dei piccoli sono arrivate a 95 euro ciascuno, ma credo nei prossimi mesi sfioreremo i 110. La stessa dinamica, fra qualche mese, si avrà anche sui grassi: nel 2020 il calo delle cosce marchiate a Parma era stato pari all’11 per cento, lo stesso valore registrato soltanto a gennaio: la riduzione delle quantità mi sembra l’unico modo per farci riconoscere un prezzo giusto».

ALLEVAMENTO / 2 Da un Comune ai confini dell’Albese viene la testimonianza controcorrente di un allevatore che ha chiesto di rimanere anonimo. «Se vogliamo parlare di prezzi dobbiamo partire dalla considerazione che la Commissione unica nazionale li decide ogni giovedì, ma i dati sui capi lavorati la settimana prima dai macelli non sempre sono completi e le stime su domanda e prezzi possono abbassarsi. “Balla” così, ogni anno, fino a un milione di suini», spiega.
Le osservazioni riguardano anche un altro genere di dati: «Il prezzo attuale, un euro e 40 centesimi il chilo, non è quello finito: dobbiamo considerare l’Iva: del 10 per cento sulla vendita noi versiamo solo il 2. Sono sei centesimi in più al chilo, cui si uniscono i premi, fra i 2 e i 6 centesimi, dati in base a parametri qualitativi dai macelli. Sembrano inezie, ma per i 1.800 maiali che vendo ogni anno, ogni centesimo in più cuba per quattromila euro di guadagni». Il terzo punto è il costo di produzione, un indicatore che, in gergo tecnico, viene definito costo chilo-carne: «Considerando solo le spese vive, penso che i 35 euro a capo dei quali si parla siano decisamente troppi: anche ipotizzando l’acquisto di mangime e suinetti credo sia più sensata una stima di un euro e 25 centesimi il chilo, ben lontano dall’euro e 54 diramato da certe associazioni di categoria; facendo ciclo chiuso le mie spese superano di poco l’euro il chilo. Credo serva chiarezza anche sulle medie dei prezzi calcolati: il picco minimo l’anno scorso c’è stato, è vero, ma è durato poche settimane. Chi ha comprato dei suinetti a 60 euro l’uno ha rivenduto capi grassi a un prezzo dignitoso; poi stanno arrivando i ristori sul macellato stanziati dal Governo: dieci centesimi al chilo. La situazione non è così tragica».

Davide Gallesio

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