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La mia esperienza di sacerdote ricoverato nel reparto Covid all’ospedale di Verduno

LETTERA AL DIRETTORE Carissimi tutti e tutte, dopo il mio ricovero nel reparto Covid-19 di Verduno, a causa del virus contratto a metà gennaio, sentivo il desiderio e il bisogno di scrivere queste righe.

Non ho parole umane sufficienti per manifestare la profonda stima nei confronti della professionalità incontrata e per esprimere a tutti la mia riconoscenza per il trattamento ricevuto dal momento in cui sono stato preso in carico dai medici Usca, trasferito in ambulanza al pronto soccorso dell’ospedale di Verduno e fino al giorno delle dimissioni.

Sento di poter riassumere con queste parole quanto allora sperimentato: innanzitutto umanità, poi competenza e professionalità, organizzazione e puntualità nella diagnosi e nella somministrazione delle cure, tatto e delicatezza usati verso tutti i pazienti ma, in modo particolare, verso gli anziani. Anche se le esigenze erano tante e a tutte le ore, specialmente quelle della notte, non ho mai sentito una parola sgarbata o di insofferenza.

La mia esperienza di sacerdote ricoverato nel reparto Covid all’ospedale di Verduno

Nei frequenti Rosari che ho sgranato in quei giorni, quante volte ho pregato per ciascuno! E quante volte nella mia mente sono risuonate queste parole: se fosse così dappertutto, sarebbe più facile credere ancora possibile la civiltà dell’amore!

Chi entra in quel reparto è una persona smarrita che soffre e lotta per un male oscuro, qualcosa di subdolo che ti assale a tradimento. In quel momento si comprende molto bene come siamo tutti uguali, persone povere e limitate che hanno bisogno di tutto e di tutti. Ed è per questo che tanti piccoli gesti, una buona parola, un sorriso, un incoraggiamento diventano medicine che affrettano la guarigione in chi ha il fisico abbastanza forte e attrezzato sì da superare la malattia e leniscono il dolore in quanti, purtroppo, non ce la fanno. Nei confronti di questi ultimi soprattutto ho trovato tanta umanità e una meravigliosa fede ardente, vissuta con coraggio sotto quelle tute bianche soffocanti, le mascherine e le visiere di plastica trasparente.

Un grazie sentito anche al caro confratello don Domenico che non mi ha fatto mancare il conforto di Gesù Eucaristia. Che bello sentire che Gesù era in mezzo a noi e percepire chiaramente che non ci abbandona mai!

Quando sorella Morte, come la chiamava san Francesco, aleggiava vicino a qualche persona e i cari non potevano essere lì ad assisterla, mi siete sembrati tanti angeli custodi che hanno vegliato su ciascuno con tanto rispetto e partecipazione umana. Su vostra richiesta, in quanto sacerdote, ho accompagnato alcuni nell’ultimo tratto della vita verso il Signore. Che sentimenti forti ho sperimentato! Che grandezza la persona umana! Che dono la fede che ti attesta che quello è il momento del «passaggio da questo mondo al Padre».

Confermo, ancora una volta, ciò che rispondo ogni volta che mi viene chiesto: «Hai sofferto? È stato brutto? Hai avuto paura?». «Certamente non è stata una passeggiata. Tuttavia, ciò che ho vissuto in quel reparto mi segnerà per tutta la vita. Un piccolo anticipo della Primavera della Chiesa e della civiltà dell’amore. Dappertutto dovrebbe essere così!».

Se in Italia ci sono tante cose che non vanno, noi guardiamo invece a quelle che funzionano e bene. Queste mie righe vogliono essere una limpida e dovuta testimonianza per quanto ho personalmente vissuto.

Ancora, grazie di tutto! Nella mia preghiera quotidiana sarete sempre presenti. Gesù che ha detto: «Ogni volta che avete fatto queste cose a un fratello e sorella più piccoli, in verità vi dico, lo avete fatto a me» (Mt 25,40) non vi farà mancare la ricompensa. Sarei contento di poter donare il libro che racconta l’eroica vicenda di Manuel il piccolo guerriero della Luce. Non farà che alimentare ancor più il desiderio di donazione.

don Eligio Mantovani, Canale

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