STORIA La Sindone è un lenzuolo funerario di lino su cui si può scorgere l’immagine di un uomo, torturato e crocifisso. I tratti e i segni di questa figura sono compatibili con quelli descritti nella passione di Gesù, di conseguenza i fedeli e anche alcuni esperti sostengono che quel lenzuolo sia stato usato per avvolgere il corpo di Cristo nel sepolcro. Ovviamente, non esiste una prova certa della sua autenticità ed è considerato un oggetto di grande fascino, mistero e un segno di fede. Secondo una tesi accreditata, il lenzuolo dovrebbe risalire al primo secolo e provenire dalla Palestina: la dimostrazione sono i ritrovamenti nelle fibre del lino di pollini di diverse specie vegetali originari della Palestina.
Ciò che rende davvero particolare questo lenzuolo sono le immagini riportate sulla tela: troviamo una doppia “fotografia” di un corpo umano nudo di grandezza naturale. Si parla di doppia immagine, perché abbiamo il lato frontale del corpo e quello posteriore.
Il più antico riferimento alla Sindone è contenuto sia nei Vangeli canonici che in quelli apocrifi. Non ci sono altri documenti scritti risalenti all’epoca forse per paura che le persecuzioni romane potessero distruggerlo. San Cirillo, in un discorso a Gerusalemme intorno al 340, fa riferimento alla Sindone. Nel 570 un anonimo piacentino dice che a Gerusalemme si trova il sudario ch’era stato posto sul capo di Gesù. Sarà il vescovo di Saragozza, la prima autorità ecclesiastica che nel 646 dichiara che non si può chiamare superstizioso chi crede nell’autenticità del sudario.
Arculfo, un pellegrino andato a Gerusalemme intorno al 650, nei suoi racconti di visita durante il pellegrinaggio narra di aver visto la Sindone, lunga circa otto piedi e di essersi emozionato fortemente. Un importante riferimento alla Sindone è già presente nell’antico Messale Mozarabico.
A Edessa, odierna Ufra in Turchia, viene venerata un’immagine del volto di Gesù antica di duemila anni, chiamata Mandylion e si presume che sarebbe la Sindone piegata a metà e poi ancora ripiegata quattro volte, per questo al centro del rettangolo si vede solo il volto di Gesù. A partire dal VI sec., sulla base del Mandylion, si afferma la caratteristica tipologia del volto di Cristo nella iconografia bizantina e nel secondo concilio di Nicea avvenuto nel 787, si sancisce la legittimità della venerazione del Mandylion. Nel 639 Edessa viene occupata dagli arabi e nel 944 il generale bizantino Giovanni Curcas pone l’assedio alla città, che abbandonò solo dopo che l’emiro arabo ebbe consegnato il Mandylion. Essa così giunse a Costantinopoli e in un’omelia attribuita a Costantino VII Porfirogenito, coimperatore di Costantinopoli, descrive il volto come dovuto a «una secrezione liquida senza materia colorante né arte pittorica», un’immagine evanescente, di lettura difficile, formata di sudore e di sangue.
Nel 1080 una fonte racconta di una lettera scritta da Alessio I Comneno per chiede aiuto all’imperatore Enrico IV e a Roberto di Fiandra per difendere la Sindone a Costantinopoli, minacciata dai turchi. Le cronache narrano di una visita di Luigi VII di Francia nel 1147 a Costantinopoli per venerare la Sindone. Nel 1171 Manuele I Comneno mostra al re di Gerusalemme il sudario di Cristo. Un cronista della IV crociata (1204), Robert de Clary scriveva: «Tutti i venerdì la Sindone veniva esposta per intero a Costantinopoli, finché non lo fu più perché trafugata dai crociati» e in una lettera datata 1205 e scritta da un familiare del deposto imperatore di Costantinopoli si legge della scomparsa della Sindone dalla città e del fatto che sia stata portata ad Atene. Nel 1208 uno dei capi della crociata, Otto de la Roche, cui toccò la signoria di Atene, porta in Francia il lenzuolo e lo tiene nascosto a Besançon. Nello stesso anno suo padre, decide di donarla al vescovo della città che la ripone nella cattedrale dedicata a Santo Stefano.
Ma nel 1349 la cattedrale prende fuoco per ragioni dolose e qualcuno ruba la reliquia facendo credere che fosse andata distrutta tra le fiamme. Fra il 1353 e il 1356 la Sindone appare misteriosamente a Lirey (diocesi di Troyes), in possesso di Goffredo di Charny, che fece costruire una chiesa per ospitare e ostendere il lenzuolo e la prima ostensione avvenne nel 1355. Goffredo morì nella battaglia di Poitiers nel 1356 e non rivelò mai come fosse entrato in possesso del lenzuolo. Nel 1418 i canonici di Lirey, affidarono la reliquia al conte Umberto de la Roche, che lasciò in eredità alla moglie Margherita di Charny nipote di Goffredo I, quando morì nel 1448. Margherita, invece di restituire il telo ai canonici, lo consegnò alla duchessa Anna di Lusignano, moglie del duca Ludovico di Savoia, che viveva a Chambéry, capitale di Casa Savoia in cambio di benefici e nella speranza di ottenere il riscatto del presunto erede del defunto conte di Charny, che era prigioniero dei turchi. Però Margherita venne colpita da scomunica e morì nel 1459.
I duchi di Savoia nel 1502 fecero costruire una cappella nel castello di Chambéry per custodire in modo dignitoso il sacro lenzuolo e nel 1504 papa Giulio II approva la Messa con “colletta” e Ufficio proprio della Sindone e la festa liturgica verrà riconfermata da papa Clemente X nel 1673 e da allora mai abrogata. Anche la cappella di Chambéry prende fuoco nel 1532 e l’urna d’argento che contiene la Sindone si surriscalda e una goccia del metallo fuso brucia un angolo del telo ripiegato su sé stesso. Saranno le suore clarisse di Chambéry, due anni dopo, a cucire i rattoppi ancora oggi visibili.
Durante le guerre tra Francesco I e Carlo V (1536-1561), la Sindone viene trasferita a Nizza, poi a Vercelli, e di nuovo a Chambéry. I Savoia infatti erano schierati a fianco di Carlo V. Nel 1578 Emanuele Filiberto trasferisce la Sindone a Torino, per abbreviare il viaggio all’anziano san Carlo Borromeo, allora arcivescovo di Milano, che vuole venerarla come voto per la fine dell’epidemia di peste e da allora ogni trent’anni si succedono ostensioni per particolari celebrazioni di Casa Savoia, o per giubilei.
Torino rimarrà l’ultima e definitiva tappa del lungo viaggio della Sindone che nel 1694 viene sistemata definitivamente nella cappella del Guarini e vengono rinforzati i rattoppi. In realtà il sacro telo lascerà ancora una volta la città di Torino nel 1939 a causa della guerra per essere nascosta nel monastero benedettino di Montevergine in provincia di Avellino per ritornarvi nel 1946. Infine nel 1983, per volontà testamentaria di Umberto II di Savoia, la Sindone passa alla Santa Sede, che nomina custode pro tempore l’arcivescovo di Torino. La Sindone scamperà ad un altro incendio nel 1997, quando la cappella del Guarini viene avvolta dalle fiamme e questa volta sarà salvata dall’eroico coraggio dei Vigili del fuoco.
La Sindone fu fotografata per la prima volta nel 1898 ed è stata proprio in quest’occasione che si capì che quell’immagine era un negativo (e non un positivo). Apparve chiaro che si trattava della figura di uomo, con la barba e i capelli lunghi. Molto evidenti erano i segni delle torture subite: i tagli su costato, le ferite ai polsi e la piaga causata dallo sfregamento di una grossa trave di legno portata a spalle (la croce probabilmente). È ovvio che la comunità scientifica si stia, ancora oggi, interrogando sull’autenticità.
Una prova molto interessante è quella ricavata nel 1988 dall’analisi del carbonio 14, che ha permesso di datare il lenzuolo tra il 1260 e il 1390. La datazione potrebbe però dipendere dal prelievo dei campioni analizzati da parti rammendate dopo l’incendio, che colpì il lino, nel 1532 a Chambéry. Quindi anche in questo caso non si può essere sicuri della corretta datazione. Nel corso degli anni molti studi e molti esperti hanno analizzato la Sindone e hanno cercato una prova sull’autenticità. La questione è estremamente delicata e dibattuta ancora oggi.
Una storia infinita ma non per questo meno carica di significato. Ogni volta che ci poniamo dinnanzi a quel telo è un invito a tornare là da dove è partito, il sepolcro di Gesù; il sepolcro vuoto del Cristo risorto, nel quale rimane solo la testimonianza delle sofferenze patite da Colui che per amore infinito, morendo, ci ha donato la certezza nella vita eterna. La sofferenza non è mai un punto di arrivo ma un passaggio attraverso il quale risorgere. Questa è la Pasqua di Cristo, questo è l’invito ogni giorno di trasformare anche i peggiori momenti della nostra vita in occasioni di rinascita e speranza per un futuro migliore.
Walter Colombo