La Sindone, il sudario antico che rappresenta la sofferenza redenta

Il vescovo Marco spiega il senso della seconda ostensione straordinaria nel sabato di Pasqua, dopo quella del 2020, del sacro lino, a Torino dal pellegrinaggio di san Carlo nel 1578

La Sindone, il sudario antico che rappresenta la sofferenza redenta

L’INTERVISTA Della speciale liturgia e dell’ostensione della Sindone nella cattedrale di Torino del Sabato santo parliamo con il vescovo di Alba, Marco.

Perché è stata pensata un’ostensione straordinaria della Sindone, monsignor Brunetti?
«La ragione di questa nuova ostensione televisiva e social la troviamo nelle parole stesse dell’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia durante il suo annuncio: “In questi tempi tormentati abbiamo bisogno di alimentare e comunicare la nostra speranza. E per noi credenti il modo più efficace di accrescere la speranza del mondo intero è la preghiera comune, il mettersi in ginocchio di fronte al Signore”. La pandemia ci ha fatto scoprire quanto siamo vulnerabili e fragili, le nostre sicurezze nella scienza, nell’economia si sono sbriciolate di fronte a un virus invisibile. Pregare davanti alla sindone può darci coraggio e speranza, perché quel volto e quel corpo sono l’impronta del Risorto, di colui che ha vinto la morte e ci ha liberati da ogni male. Cristo è la nostra speranza, guardando a lui possiamo ripartire».

Che cosa rappresenta per i fedeli il sacro telo?
«La Sindone rappresenta la sofferenza umana redenta. Ogni sofferente si può rispecchiare in quel telo eLa Sindone, il sudario antico che rappresenta la sofferenza redenta 1 trovare le risposte ai perché fondamentali della vita. Certamente bisogna contemplare quel telo con occhi di fede, di chi crede nella vita che verrà. L’icona sindonica è la rappresentazione della passione del Signore. Il nostro beato Sebastiano Valfrè ebbe a dire sulla Sindone: “La croce ha ricevuto Gesù vivo e ce lo ha restituito morto; la sindone ha ricevuto Gesù morto e ce lo ha restituito vivo”. Questa è la fede dei santi, questa è la fede che deve guidare i fedeli di oggi che venerano la Sindone».

Perché oggi è custodita nella cattedrale di Torino?
«L’occasione fu offerta – nel 1578 – da un gesto di riguardo da parte dei Savoia nei confronti di san Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, che volle sciogliere il voto fatto anni prima in occasione della peste che aveva flagellato il capoluogo lombardo: recarsi a piedi fino alla Sindone – allora conservata a Chambery, in Savoia – al cessare dell’epidemia. Da allora Torino divenne la città della Sindone e l’arcivescovo ne è il custode pontificio: il sacro lino è proprietà del Papa perché donatagli dal re Umberto II di Savoia alla sua morte. I torinesi sono devotissimi e la considerano parte fondamentale del patrimonio religioso della città».

Qual è l’atteggiamento migliore per partecipare a un’ostensione sindonica?
«Il modo migliore per partecipare è un pellegrinaggio spirituale fatto di silenzio e di preghiera. Ricordo, ero presente, quando papa Francesco venne pellegrino a venerare la Sindone, entrò in duomo in silenzio in un atteggiamento molto raccolto percorrendo la navata centrale senza salutare nessuno, ma preparandosi all’incontro col sacro telo, senza fare nessun discorso, limitandosi a compiere un gesto che parlava da solo, allungare la mano accarezzando la teca che conteneva la Sindone. Ecco, credo sia questo l’atteggiamento più vero per vivere un momento intenso e di grande valenza spirituale».

In che cosa consiste la liturgia di ostensione?
«Ogni ostensione ha la sua liturgia, quella vissuta il Sabato santo di quest’anno, essendo televisiva e social, la vedo molto sobria e intensa, con la parola di Dio centrale, perché la Sindone è come un “quinto” Vangelo, in cui possiamo meditare la passione, morte e risurrezione di Gesù. Sicuramente i giovani hanno svolto un ruolo come protagonisti, insieme a tante testimonianze di vita, legate anche al tempo della pandemia che stiamo vivendo. Io stesso mi sono fatto pellegrino come tantissimi fedeli, seguendo in televisione la liturgia proposta».

Lei ha partecipato alla preparazione della precedente ostensione: che cosa ricorda?
«È il 2015 l’anno dell’ultima ostensione pubblica che vide anche la partecipazione di papa Francesco. Io ero membro del comitato organizzatore e ricordo il grande lavoro fatto ripagato dalla immensa partecipazione di pellegrini da ogni parte del mondo. Fui incaricato, in particolare, di organizzare la visita ai malati, con i miei collaboratori ci inventammo gli accueil. Li chiamammo così perché rimandavano all’esperienza di Lourdes dove vengono accolti migliaia di malati. Furono tantissimi i malati e i disabili che furono ospitati nei nostri accueil sia in gruppi, sia singolarmente. Centinaia di volontari si alternavano per dare loro assistenza e accompagnarli alla Sindone. Fra gli ospiti ricordo due situazioni, la prima riguarda una giovane donna malata terminale che chiese ospitalità e venne dalla Lombardia accompagnata in macchina da suo marito e da un’infermiera. Il giorno dopo il suo arrivo, dato che era molto debole, l’accompagnammo a pregare davanti alla Sindone in carrozzina. Ricordo l’intensità del suo volto sofferente che incrociava il volto del Gesù sofferente, in silenzio. Il giorno dopo ritornò a casa e una settimana dopo purtroppo morì. Il marito nel darci la notizia ci inviò un biglietto della moglie scritto al rientro a casa, sul quale si poteva leggere: “Signore, sono pronta a morire, ho contemplato il tuo volto, lo stesso volto che contemplerò dopo questa vita….”. La seconda situazione fu una telefonata da parte dell’elemosiniere del Papa, che mi chiedeva se potevamo ospitare una quarantina di senza fissa dimora accompagnati da un sacerdote che bivaccavano normalmente intorno a San Pietro. Immaginate la gioia di poter accogliere ospiti del Papa. Arrivarono, ognuno di loro aveva con sé una busta con una tessera telefonica vaticana, venti euro e una immaginetta, gli era stata data dal Papa per il viaggio. Fui commosso nel ricevere questi poveri che si recarono alla Sindone con grande spirito di fede».

E papa Francesco?
«Il pellegrino più importante fu proprio papa Francesco che si fermò a Torino due giorni, incontrando i giovani, i lavoratori e i malati al Cottolengo. Alla Sindone andò raccolto e in silenzio, è l’unico Papa di cui non possediamo un discorso letto davanti alla Sindone, il suo discorso furono i gesti di devozione che compì davanti al Santo sudario. Avrei molte altre cose da ricordare, mi limito a queste che hanno lasciato in me un segno indelebile».

Walter Colombo

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