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Abele va Oltre lo specchio: un progetto per combattere la transfobia

Abele va Oltre lo specchio: un progetto per combattere la transfobia

ASSOCIAZIONI Oltre lo specchio è il progetto nato all’interno del gruppo Abele di Torino, l’associazione fondata nel ’65 da don Luigi Ciotti. Si tratta di uno sportello per le persone transessuali e transgender in difficoltà, che hanno conosciuto la discriminazione e il rifiuto, con ripercussioni su tutti gli aspetti della vita, che offre interventi costruiti sulle singole storie. L’obiettivo è evitare l’emarginazione, frutto di pregiudizi e stigmatizzazione. Ne parliamo con Ornella Obert, responsabile del progetto.

Di che cosa si occupa Oltre lo specchio?

«Il progetto è nato una decina di anni fa, ma il gruppo Abele, è in prima linea su questo fronte da sempre. Offriamo uno sportello di ascolto e di orientamento, ma ci occupiamo anche di accoglienza. Costruiamo percorsi di sostegno per le persone transessuali o transgender che si rivolgono a noi, che possono riguardare l’ambito lavorativo o sociale, così come si può pensare a una soluzione abitativa temporanea nei due alloggi che abbiamo a disposizione, se viene a mancare la casa. Seguiamo casi di persone provenienti non solo da Torino, ma da tutta Italia. Inoltre, siamo a disposizione anche per consulenze telefoniche e via e-mail».

Quanto è presente oggi la transfobia?

«Parliamo di una realtà molto variegata, fatta di infinite sfumature. Nell’immaginario comune, la transessualità viene vista molto spesso come qualcosa di marginale, magari ricondotta ad ambienti degradati e alla prostituzione, che spesso è proprio una conseguenza dell’emarginazione. A volte, quando tutto il tessuto attorno alla persona crolla, si arriva anche all’alcolismo e alle altre dipendenze. Ancora oggi l’essere trans comporta molto spesso discriminazioni e stigmatizzazioni in tutti gli ambiti della vita, da quello sociale alla dimensione lavorativa, con diverse variabili. Se parliamo di ragazzi o ragazze giovani, di solito c’è una maggiore inclusione da parte degli amici, della classe e degli insegnanti. In queste situazioni, spesso il percorso che sviluppiamo riguarda anche gli altri componenti della famiglia, che si sentono spiazzati. Molto diverso è il caso degli adulti, che magari hanno già un marito o una moglie, con dei figli. Parliamo di una scelta che ha spesso conseguenze drammatiche sull’ambito personale, lavorativo e sociale. Noi cerchiamo di restare a fianco della persona, per evitare le derive più gravi».

Sul fronte dell’identità di genere, oggi si parla molto della cosiddetta fluidità: di che cosa si tratta?

«Tradizionalmente si è abituati a una visione binaria, che consiste nel riconoscersi nel genere maschile o femminile. Chi si definisce gender fluid rifiuta l’appartenenza a uno o all’altro genere. Per ora è un fenomeno fortemente legato alla dimensione adolescenziale, che per certi versi conosciamo ancora poco. Sarà interessante valutarne l’evoluzione, ma è un aspetto che ci permette già di capire come la questione del genere non sia qualcosa di fisso all’interno della nostra società».

Ci ha detto che, tra i giovani, il rischio di emarginazione è meno forte: significa che le nuove generazioni hanno già compiuto il passo culturale verso una comunità più inclusiva?

«Nonostante alcuni casi di bullismo, c’è fortunatamente una massa di giovani molto inclusiva, segno di un cambiamento culturale che in parte è già avvenuto o che comunque sta avvenendo. C’è anche da dire che la legge sta andando molto velocemente sul fronte del genere. Per esempio, la Corte costituzionale ha riconosciuto la possibilità di cambiare il sesso anagrafico sui documenti senza procedere all’intervento chirurgico, cosa che invece era necessaria in passato».

Francesca Pinaffo

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