La plaquette, opuscolo raro che ci restituisce i dimenticati Rossetti

Al protomedico e al fratello funzionario regio è intitolata una delle piazze principali del centro: furono benefattori dell’ospedale cittadino, dell’orfanotrofio e altre opere pie

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Il busto di Pietro Rossetti nello scalone monumentale dell'ospedale San Lazzaro.

SOCIETÀ ALBESE Nel linguaggio dei bibliofili la plaquette è un opuscolo di poche pagine, a carattere propagandistico o celebrativo, stampato e diffuso quasi sempre in pochi esemplari e fuori commercio da una tipografia locale. In passato, molti di questi opuscoli, nelle biblioteche private e pubbliche, finivano rilegati in corposi volumi denominati miscellanea, ed erano al loro interno spesso ordinati con l’unico criterio del formato cioè della dimensione, senza ulteriori indicazioni di argomento o autore e finivano dimenticati. I volumi miscellanei di opuscoli sono per gli appassionati di storia giacimenti inviolati da esplorare alla scoperta della gemma più preziosa, del testo meno noto di cui si erano perse le tracce.
Destano la nostra attenzione, oggi, due rare plaquette che offrono alcune informazioni utili per comprendere aspetti ormai dimenticati della storia sociale di Alba nella seconda metà dell’Ottocento, e che hanno entrambe, inoltre, una singolare attinenza con la toponomastica di Alba.

Nonostante la piazza dietro la cattedrale di Alba sia dedicata ai fratelli Rossetti, e i loro busti si trovino nello scalone monumentale del vecchio ospedale, il tempo ne ha cancellato la memoria

 

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Il busto di Sebastiano Rossetti nello scalone monumentale dell’ospedale San Lazzaro.

La prima, stampata dalla tipografia Paganelli della nostra città, è un’orazione funebre scritta dal rettore del seminario Paolo Fedele Marrone che ha come titolo Nei solenni funerali di Sebastiano Rossetti direttore delle regie Poste celebratisi nella cattedrale di Alba il dì 2 maggio 1871. Nonostante la piazza dietro la cattedrale di Alba sia dedicata ai fratelli Pietro e Sebastiano Rossetti, e i loro busti si trovino nello scalone monumentale del vecchio ospedale, il tempo ne ha cancellato la memoria. Nell’orazione funebre il canonico Marrone ripercorre la vita di Sebastiano ricordando che, nato agli inizi del XIX secolo, divenne, dopo gli studi, un apprezzato direttore delle Poste di Alba.
Il fratello maggiore Pietro, «protomedico» della città, morendo aveva lasciato un’ingente somma di denaro all’ospedale cittadino permettendo in questo modo all’Amministrazione la costruzione delle due scalinate all’interno dell’edificio e l’allestimento di un padiglione «con piazze gratuite» da destinare a «vecchi cadenti» e «malati incurabili d’ogni maniera».

Un altro fratello, Eugenio, fu sacerdote e professore di filosofia

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Un’immagine di piazza Rossetti tratta dal libro Alba un secolo.

Un altro fratello di nome Eugenio, sacerdote e professore di filosofia, testò a favore dell’Ospizio delle povere figlie. Sebastiano che aveva perso due figli molto giovani, destinò i suoi beni al Ricovero dei poveri giovani abbandonati, e ad altre opere pie. Il libro sulle opere caritative della città del compianto don Pino Mellino ci aiuta a fare luce sul Ricovero dei poveri giovani abbandonati che, creato nel 1839 da Carlo Degioanni con sede all’ospedale, proseguì la sua attività con alterne vicende nel corso dell’Ottocento. Il fine principale era insegnare un lavoro artigianale a ragazzi orfani o in cattive condizioni economiche. L’eredità Rossetti era destinata alla creazione nel ricovero di una colonia agricola in una cascina appartenuta al donatore, situata in Altavilla, nella valle di Carpaneta. Nella cascina detta «della colonia» i giovani avrebbero dovuto imparare l’arte dell’agricoltura in una scuola dotata dei mezzi più moderni. Il canonico Marrone nel testo si rivela entusiasta del progetto, e immagina addirittura – cosa singolare se detta nel duomo di Alba – che la dea dell’agricoltura scenda sulla terra a benedire la colonia.
Una relazione del 1891 al prefetto di Cuneo, riportata dal libro di don Mellino, rivela l’amaro esito dell’iniziativa, «per quanto lodevole il fine che trattavasi di conseguire… i mezzi erano inadeguati e i risultati assai dubbi… L’Amministrazione dovette chiuderla». Monsignor Marrone avrebbe dovuto rivolgersi, probabilmente, a qualche altra divinità dell’Olimpo.

L’educazione delle giovinette «civili», da istruire ai «lavori donneschi»

Anche il secondo opuscolo è di grande interesse: stampato anonimo sempre dalla tipografia Paganelli nel 1893 ma attribuibile al canonico Felice Allasia, già presidente della Cassa di risparmio di Alba, intitolato L’educazione delle giovinette e il Ritiro della Provvidenza in Alba. Dialogo tra due madri di famiglia. Il colloquio immaginario tra due madri «di condizione civile» vuole indurre la cittadinanza a sostenere il corso di istruzione elementare femminile con l’annesso educandato che era sorto per iniziativa dell’Amministrazione comunale nel Ritiro della Provvidenza della città. Il breve scritto rivela forse più di un trattato molti aspetti della mentalità del XIX secolo con particolare riferimento alla condizione della donna nella società del tempo. L’Opera pia Viglino diventata in seguito Ritiro della Divina Provvidenza, istituzione tra le più durature della città fondata nel 1796 dalla vedova Viglino, aveva lo scopo di raccogliere ragazze povere e orfane fornendo loro un’educazione cristiana, e insegnando lavori «donneschi» utili a una futura famiglia. Accanto a quest’opera di assistenza pubblica nei locali sorgeva l’educandato che aveva tutt’altro obiettivo. Spiega Teresa all’interlocutrice Emma che la nostra diocesi comprende soltanto tre città e ottanta paesi con popolazione dedita soprattutto all’agricoltura e al commercio, poche sono le famiglie nobili residenti, mentre «abbonda invece la borghesia; e le famiglie dei laureati si congiungono di tutto buon grado a quelle dei negozianti (…) donde le tendenze a educare le fanciulle allo spirito, come qui si dice, casalingo». Il canonico Allasia aveva individuato, oggi si direbbe, un potenziale target di fruitori della scuola, le figlie della piccola borghesia emergente. Oltre leggere, scrivere e far di conto, le giovani, sorvegliate dalle suore in tutte le attività, imparavano a diventare «modeste e operose», in grado di conoscere «a dovere i lavori propri»
del loro stato attraverso un «pratico e vigile magistero d’urbanità». La musica e la lingua francese si potevano apprendere soltanto se la spesa era sostenuta dalla famiglia, ma queste pratiche potevano diventare un pericoloso elemento di distrazione. Si occupavano della scuola
le suore di Sant’Anna, congregazione fondata da Giulia Colbert, marchesa di Barolo, mentre l’«Onorevole Municipio» vi provvedeva e sorvegliava con «affetto paterno». In un’epoca di «angustia finanziaria», le famiglie lesinavano le trenta lire mensili per la retta delle giovani, e infatti secondo Emma «ai maschi, si pensa si provvede e si trova sempre di che far fronte alla spesa», mentre le famiglie sottovalutano il bene di una «corretta» educazione femminile. Con la frequentazione della scuola si sarebbero potute evitare nel futuro «tante economie inconsulte e malintese (…) E nemmeno si vedrebbero tanti cervellini vuoti, bizzarri, strani, permalosi, che dopo ricevuta un’infarinatura d’educazione moderna pretendono d’imporsi a tutti, e sono la disperazione dei genitori e diventeranno un giorno il fastidio dei gabbati mariti, la ruina delle loro case»

Luciano Cordero

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