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Antonio Mazzi: è la speranza ad attraversare i miei giorni

Antonio Mazzi: è la speranza ad attraversare i miei giorni

INTERVISTA «Pensieri notturni di un sognatore centenario»: sono le parole che don Antonio Mazzi –classe 1929, fondatore di Exodus, progetto educativo per il recupero di tossicodipendenti – usa per definire il suo ultimo libro, La speranza è una bambina ostinata (Piemme, pagg. 141, 16,90 euro).

L’idea nasce da un incontro che l’autore ha avuto con l’amico Arnoldo Mosca Mondadori che, raggiungendolo per il compleanno nella storica sede della comunità Cascina Molino Torrette, all’interno del parco Lambro a Milano, esordisce: «Sono venuto a fare gli auguri a un novantenne, ma non ho di fronte un sacerdote di novant’anni, piuttosto un ragazzo di venti, la cui luce negli occhi è la stessa di tanti anni fa».

Gazzetta d’Alba parla del nuovo volume con don Antonio Mazzi, che molto spesso ha visitato Alba.

Don Mazzi, possiamo dire che il libro rappresenta il suo testamento spirituale?

«Non avevo intenzione di scrivere qualcosa che servisse ad altri ma, provocato da Arnoldo Mondadori, mi sono quasi divertito a esprimere pensieri che tenevo dentro, sentimenti, emozioni, paure, fallimenti. Perché, vivendo da quarant’anni giorno e notte in una stanzetta a Milano, nel parco Lambro, tra storie, le più impensate, di adolescenti, giovani e adulti, non ho potuto evitare una montagna di domande».

Che cos’è la speranza, tema centrale del libro?Antonio Mazzi: è la speranza ad attraversare i miei giorni 1

«La speranza, a novant’anni, salta fuori da tutti gli angoli. L’operazione al cuore e l’anca rifatta in due giorni, la quarantina di realtà nel mondo, le e-mail dei ragazzi dell’Elba che raccontano il loro deserto, le carovane fino a Compostela e i trenta Capitoli con quasi cinquecento persone ogni anno fatti nei campeggi del lago di Garda con la veglia notturna, la videata dei ragazzi del Madagascar e le mille chitarre in piazza Duomo. È la speranza che attraversa le giornate, gli anni, i pianti».

Che cosa le hanno insegnato tanti anni a contatto con i giovani?

«Quando sono tra me e me, ci sono momenti nei quali mi sembra di venire soffocato dalle sconfitte, per le quali avrei dovuto trovare soluzioni, ben sapendo che da soli o si lasciano parlare le speranze impossibili o si sta ad aspettare che torni il sereno o che una telefonata ti obblighi a cambiar umore. Chiacchierando con Arnoldo, invece, ho capito che i quarant’anni tra i disperati, a corto di consolazioni e risurrezioni, li posso riassumere solo se prendo la mia testa e la sbatto fuori dalla finestra. La mia vita è travasata minuto dopo minuto dentro quella degli altri. Ed è sempre rimasta tale: nel successo, nell’insuccesso, nella televisione e nei sottopassi della metro, tra gli adolescenti delle scuole e i carcerati di Opera».

Dove trova la forza per andare avanti come quando aveva vent’anni?

«La ragione non mi ha mai dato risposte e tantomeno la fede, quella classica, quella teologica. Quando riduci la fede a qualcosa che ti sembra di capire, vuol dire che sei fuori strada. E così, sono arrivato a novant’anni per intuire che il mistero è più affascinante, più chiaro, più evangelico: è l’unico a darti risposte. Ma per accettare il mistero devi tornare piccolo, bambino, fragile, “scartino”, ostinato e non mollare, cioè aspettare che il mistero si faccia meno mistero. Anzi, per dirla in modo più schietto di come l’ho scritta nel libro, l’immersione nel mistero è il nuovo battesimo che devi fare diventando adulto. Tra una riga e l’altra, ho tentato di far capire a me, più che ad Arnoldo, che il mistero non avvolge solo la mia fede, ma anche il mio lavoro. Tutte le persone che sono passate dalla Cascina non solo erano romanzi, tragedie, spaccio, terrorismo, mafia, ma soprattutto mistero. Non c’è stata storia, tra le migliaia che ho sentito, visto e vissuto, che prima o dopo non mi abbia obbligato a domandarmi “perché a Marco, a Mario, a Erica, a Ginevra e non a me e a cento altri?”».

Che cosa significa per lei essere padre?

«Con il caratteraccio che ho poteva accadermi di tutto. Invece la morte assurda di mio padre, ha fatto di me il padre di centinaia di altre vite. Come spiegare? Le risposte ti vengono dal Vangelo. E ogni nome, ogni parabola, ogni fatto, anche il più semplice, tiene dentro le due assurdità: la semplicità più trasparente e il mistero più incandescente».

Quale consiglio si sente di dare come padre ai giovani?
«Ogni uomo è un mistero profondo. E lo è perché vive, perché la vita è imprevista, affascinante, grande: non possiamo ridurla al tempo, agli sbagli, ai dolori, agli amori. È infinita, niente altro!».

Walter Colombo

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