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Il futuro dell’Europa nella nebbia. Non è di buon augurio per l’Unione la presidenza di turno slovena

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo 1

BRUXELLES L’idea di una Conferenza sul futuro dell’Europa era stata lanciata dal presidente francese Emmanuel Macron nel 2018 sollevando non poche speranze per un’Unione Europea stremata dalla crisi e minacciata dai movimenti nazional-populisti. L’esito delle elezioni europee del maggio 2019, segnate da una ripresa di slancio europeista e il successivo ricambio ai vertici delle istituzioni Ue, con l’ambizioso programma di lavoro adottato, sembravano incoraggiare l’iniziativa e sollecitarne una rapida realizzazione. Era non fare i conti con le reticenze di molte cancellerie europee e con le tradizionali tensioni tra le Istituzioni comunitarie, incappate a inizio 2020 nella grave pandemia da Covid-19. Si è così dovuto aspettare il 9 maggio scorso, anniversario della dichiarazione Schuman, per vedere convocata la Conferenza e il 19 giugno per assistere alla sua prima assemblea plenaria, a Strasburgo nella sede del Parlamento europeo.

Tre anni per prepararsi a riflettere sul futuro dell’Unione non sono pochi, visto quello che capita nel mondo e nel nostro continente. In quei tre anni abbiamo assistito alla crescita esponenziale della Cina, alle devastazioni dei rapporti internazionali con Trump e, più vicino a noi,  alla secessione britannica dall’Ue dopo la lunga soap opera di Brexit e alle turbolenze nel Mediterraneo con l’irruzione della Turchia e l’ombra lunga della Russia. Per completare il quadro, viviamo ormai da lunghi mesi alle prese con una pandemia che ha malmenato l’economia e ha rivelato l’impreparazione dell’Europa ad affrontare le sfide planetarie, come quella delle migrazioni, e la difficoltà a convincere il mondo sull’urgenza di contrastare il surriscaldamento climatico.

Non che nel frattempo non si sia manifestato qualche segnale positivo come l’arrivo di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti con la sua volontà di ricomporre le alleanze nell’Occidente democratico e affrontare il dramma crescente delle disuguaglianze o, come nell’Ue, la decisione di creare un debito europeo per rispondere con il Recovery fund alla crisi economica e sociale aggravata dalla pandemia.

Erano segnali confortanti che facevano ben sperare nell’avvio, dopo tre anni di attesa, della Conferenza sul futuro dell’Europa. È presto per una prima valutazione, tenuto conto dell’assetto complesso della Conferenza, segnata da una massiccia presenza di istituzioni europee e nazionali e molto meno dalle componenti della società civile, e dei tanti temi messi sul tavolo, senza un accenno alla prospettiva di una riforma dei trattati, a dodici anni di distanza da quello firmato a Lisbona, tanti per una stagione del mondo in forte cambiamento.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

L’assemblea dei giorni scorsi a Strasburgo non ha dissipato la nebbia, poco discostandosi dalle tradizionali liturgie comunitarie e ancora troppo poco incoraggiante per sviluppi significativi nei pochi mesi di durata di questo esercizio che coniuga democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa. Di qui alla fine dell’anno a presiedere la Conferenza, insieme alla presidenza del Parlamento e della Commissione, al timone ci sarà anche la presidenza di turno slovena in attesa che si giunga a qualche conclusione sotto presidenza francese nel primo semestre del 2022.

Non casca bene in questa traiettoria la presidenza slovena, quella di un Paese che si sta mettendo in scia a Polonia e Ungheria per derive poco democratiche, in particolare sulla libertà di espressione, e per atteggiamenti ostili già all’Unione di oggi, figuriamoci a quella che molti vorrebbero più coraggiosa domani.

Ma la storia, specie di questi tempi, riserva spesso sorprese: speriamo positive per chi vuole un’altra Unione, più solidale e aperta sul mondo e sul futuro.

Franco Chittolina

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