L’ASSOCIAZIONE «Negli ultimi due anni, abbiamo registrato un incremento delle dipendenze sessuali di circa il 40%, anche se non è facile avere una visione complessiva, dal momento che si tratta di argomenti ancora considerati tabù da molte persone». Lo dice Francesca Solero, psicologa, psicoterapeuta e consulente in sessuologia del centro Lenad di Torino, specializzato nella cura delle dipendenze patologiche.
«In quanto dipendenza, il problema non è lo strumento, ma il modo in cui viene utilizzato. Nel caso degli adulti, in particolare nella fascia d’età dai 45 anni in poi, abbiamo registrato il boom della dipendenza da chat erotiche: ci sono uomini di 60 anni che trascorrono intere ore del giorno e della notte sui vari siti a pagamento, con conseguenze anche dal punto di vista economico. Si entra in un circuito, che in modo totalizzante invade la sfera personale, sociale e lavorativa. Si tratta quasi sempre di uomini single o che stanno attraversando una crisi di coppia: la solitudine è infatti l’elemento caratterizzante di chi cade in questo tipo di dipendenze. A tal punto che spesso, oltre al contenuto sessuale, la persona arriva a chiedere all’interlocutore di poter semplicemente parlare». In questi casi, è quasi sempre l’adulto stesso che arriva a chiedere aiuto, perché si rende conto di trovarsi di fronte a un problema reale. Per quanto riguarda i giovani, soprattutto tra i 16 e i 18, la dipendenza da sesso sembra essere legata alla pornografia in senso stretto e «spesso sono i genitori a rivolgersi a noi, perché, assistono a un isolamento progressivo del figlio».
Ma come si esce dalle dipendenze sessuali? «Il percorso è analogo alle altre dipendenze. Si comincia con una prima parte di sedute di psicoterapia individuale, nelle quali interrogarsi sulla tipologia di dipendenza. Poi si va più a fondo, cercando di capirne i motivi. Per 7 pazienti su 10, si passa poi alla terapia di gruppo, che ha molteplici benefici nel percorso di cura. Se parliamo di ragazzi giovani, superati i pregiudizi, si possono coinvolgere anche i genitori, così da consentire alla persona di aprirsi: parliamo di percorsi quasi sempre lunghi e complessi, ma è possibile uscirne, purché si chieda aiuto», conclude Solero.
f. p.
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