Mga, meglio se piccole per salvare la specificità

Gianni Fabrizio, curatore della guida del Gambero rosso, è stato a Monforte d'Alba per i grandi terroir del Barolo

Mga, meglio se piccole per salvare la specificità
Grappoli di nebbiolo.

VINO Sabato 26 e domenica 27 giugno si è svolto a palazzo Martinengo a Monforte d’Alba I grandi terroir del Barolo, appuntamento con il più famoso dei vini da Nebbiolo, proposto da Go wine per una presentazione della nuova annata in commercio, quella del 2017, e dei produttori dell’area che vanta circa 1.800 ettari vitati.

A condurre le degustazioni, il curatore della guida del Gambero rosso Gianni Fabrizio, che si è avvalso della mappa del consorzio Barolo, Barbaresco Alba Langhe Dogliani rappresentante le Menzioni geografiche aggiuntive (Mga) del Barolo, e realizzata da Alessandro Masnaghetti. Spiega Fabrizio: «L’area di produzione del Barolo è costituita da tre valli principali. La prima, a ovest, va da Verduno a Novello. È caratterizzata da versanti molto esposti verso la pianura del Tanaro, caratteristica che dona ai vini prodotti un particolare sapore aspro. Quella intermedia inizia dal bivio per Castiglione Falletto e risale con andamento molto irregolare fino a Monforte. I versanti sono più riparati e ci sono alcuni terreni con vene sabbiose, che conferiscono al Barolo un sapore più morbido. La valle più esterna è compresa quasi interamente nel Comune di Serralunga, da Fontanafredda fino al confine con Roddino».

In Italia, a differenza della Francia, non ci sono gerarchie nelle Mga

Mga, meglio se piccole per salvare la specificità 1
Gianni Fabrizio, curatore della guida del Gambero rosso.

Le Mga sono il corrispettivo italiano dei francesi terroir, zone accomunate da geomorfologia, clima, esposizione dei versanti. A differenza della Francia in Italia non si è voluto creare una gerarchia: un Bricco Ambrogio, un Cannubi o un San Giovanni, pur con caratteristiche diverse, sono sullo stesso piano. Alcune Mga sono molto estese (la più grande è Bricco San Pietro a Monforte, 380 ettari) e altre più ristrette (appena 1,4 ettari per Bricco Rocche a Castiglione Falletto). Secondo Fabrizio, «la questione è stata dettata da scelte politiche. A Monforte si è deciso di raggruppare gli ettari vitati in undici Mga molto estese. La scelta, concordata dai produttori con il consorzio, è legata all’esigenza di facilitare chi non conosce il territorio, fornendogli pochi nomi da ricordare. Per Bussia, ad esempio, si è partiti dai cru più famosi e si è allargata la zona. Il problema riguarda il fatto che, in questo caso, i vini cambino molto da una zona all’altra dell’Mga, facendo venire meno l’intento originario e perdendo la specificità. Molti importanti cru come Colonnello o Fantini sono stati ricompresi in altre Mga. Altri Comuni hanno differenziato molto le classificazioni: Serralunga e La Morra, per esempio, ne hanno 39».

Il punto sulla gestione del vigneto e la qualità dei vini

Riguardo alle pratiche di gestione del vigneto che si stanno diffondendo negli ultimi anni, Fabrizio prima fa rilevare di non essere un agronomo, poi commenta: «Quando si era iniziato a usare il diserbante, le rese per ettaro erano maggiori e ci si poneva l’obiettivo di mantenere pulito l’interceppo e i filari. Il clima era leggermente diverso ed era vantaggioso non avere una competizione molto ampia con altre specie vegetali, che assorbivano nutrienti necessari alla vite. Oggi c’è la tendenza a svolgere meno interventi in questo senso e si sta diffondendo l’inerbimento, che ha il grande vantaggio di limitare l’erosione del suolo in terreni acclivi, mantenere più fresco il terreno e, grazie alle radici di alcune specie, fissare un quantitativo importante di azoto nel suolo. Si cercano rese più basse e c’è bisogno di ombreggiare i grappoli che, altrimenti, subirebbero bruciature dovute ai raggi solari sempre più forti. A questo proposito, si effettuano sempre meno operazioni di potatura verde. Anni addietro, la presenza di molta vegetazione poteva portare a elevati tassi d’umidità e conseguente proliferazione di muffe, problema che si verifica sempre meno».

«Non è detto che la lotta biologica dia origine a prodotti organoletticamente migliori o più salutari» spiega Fabrizio

«Per quanto riguarda la lotta biologica», l’esperto Fabrizio avverte, «bisogna ricordare che il discorso va applicato alle uve e non al vino. Inoltre, non è stato dimostrato da nessuna parte che il prodotto ottenuto sia organoletticamente migliore o più salutare. Si tratta soprattutto di un discorso legato alla salvaguardia del pianeta, che soffre per l’inquinamento, la sovrappopolazione e l’eccesso della monocoltura che limita la biodiversità».

Infine, sulla recente proposta di legge dell’Unione europea per introdurre anche in Italia i vini dealcolati, Fabrizio non ha dubbi: «La dealcolizzazione si fa tramite filtrazioni a membrana che, nonostante non comportino rischi per la parte sanitaria, fanno inevitabilmente subire uno choc al vino: la qualità ne risente. Io mi dichiaro contrario. Credo sia meglio bere un bicchiere in meno o, al limite, allungare il vino con l’acqua. Per togliere un paio di gradi alcolici, penso sarebbe più interessante operare in vigneto per ottenere grappoli con una gradazione zuccherina minore. Nessuno è obbligato a bere il vino, ma imporre processi simili per legge mi pare ingiusto e poco rispettoso della cultura che c’è dietro ogni bottiglia. Se proprio non se ne potesse fare a meno, suggerirei di scrivere chiaramente in etichetta che non si tratta di vino, per non ingannare i consumatori».

«La data simbolo per il rinnovamento del Barolo è il 1994: il merito va tutto al gruppo dei Barolo boys»

Continua Fabrizio: «Essendo stato molto apprezzato in ambito locale, il Barolo ebbe una diffusione molto limitata al di fuori di questi confini: il motivo è legato alla conformazione del territorio, che rende difficile il trasporto lungo le vie di comunicazione. Se andiamo a vedere, le grandi zone vitivinicole internazionali sorgono non a caso nei pressi di corsi d’acqua navigabili o mari: Porto, Borgogna, Madeira, Jerez de la Frontera, Champagne. Ciò ha contribuito all’isolamento del Barolo. La data simbolica della fine del periodo non è il 1966, anno di istituzione della Doc, bensì il 1990. I vini di questa vendemmia, nel 1994, sono stati i primi a ottenere i cento centesimi dalla guida statunitense di Robert Parker: lo si deve al gruppo di giovani produttori chiamato Barolo boys, che hanno cambiato il modo di produrre rendendolo più moderno e spendibile sul mercato. Tutti gli altri produttori, poi, si sono accodati».

Secondo Fabrizio, all’epoca, il consorzio di tutela si limitava a proteggere il marchio senza attivare politiche di promozione. «Ora, invece, sta svolgendo politiche attive in questo senso, per il Barolo e per gli altri vini che ne fanno parte». Su questo punto, il curatore della guida del Gambero rosso ritiene che l’unione sotto un unico ente di più denominazioni sia vantaggiosa: «Lo è soprattutto per chi produce vini meno prestigiosi. Trovarsi nello stesso consorzio che tutela Barolo e Barbaresco porta loro un’enorme visibilità. Strada facendo molte cantine di Diano o Dogliani hanno iniziato a proporre anche queste denominazioni. I grandi vini possono fare da traino a quelli minori».

Davide Barile

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