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Abitare il piemontese: la parola della settimana è Tajaȓin

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Tajaȓin (tagliolini): varietà di pasta all’uovo, fatta a mano e dalla forma allungata, tipica delle Langhe.

C’è chi prova con tagliatelle, ma sappiamo che tagliatelle non sono, altri tentano con tagliolini, oppure taglierelli. Fatto è che i tajaȓin, si possono chiamare soltanto così: diversamente, vengono privati di senso antropologico, sociale, culturale. L’origine sono proprio le Langhe, ma ben presto si sono diffusi in tutta la regione, conquistando tavole e gusti. Primo piatto a base di farina di grano duro e uova, i tajaȓin sono una pasta «sottile come capelli d’angelo». La tradizione vuole che debbano essere impastati, tirati e soprattutto tagliati a mano con il coltello.

La derivazione del nome è proprio tratta dal verbo tajé, tagliare. Infatti, le più esperte chisineȓe (le cuoche di campagna), hanno una velocità incredibile nel compiere il gesto del taglio finissimo. Se non si è più che allenati, c’è rischio di accorciarsi le dita. Nei giorni festivi, quando ce lo si poteva permettere, la farina era bagnà puȓ euv (impastata con sole uova); se invece marcava male, allora ci si accontentava dell’acqua.

Per ragioni turistico-commerciali, i menù di alcuni ristoranti tipici ostentano la dicitura tajaȓin della tradizione con 24 tuorli, ma come l’artista Filippo Bessone: «Se fossero davvero della tradizione, di uova ce ne sarebbero al massimo tre».
Mia nonna pronunciava sempre una filastrocca che parlava di tajaȓin, facendo passare ogni dito della mia mano tra le sue, dal pollice al mignolino, diceva: «S-cì o và aȓ miȓin, s-cì o fa ij tajaȓin, s-cì oi fa cheuse, s-cì o mangia tut, e s-ci o fa pio pio drè da ȓ’uss» (Questo va al mulino, questo fa i tajaȓin, questo li fa cuocere, questo mangia tutto e questo fa pio pio dietro la porta).
Quali condimenti per una pasta tanto tipica? Tajaȓin succ, aȓ vin, en tȓa mnestra, con ij bolé (asciutti, al vino, nella minestra, ai funghi). Per la stagione in cui siamo, non si disdegna di un filo d’olio e una profumata lamellata di tartufo bianco d’Alba. È importante potersi permettere queste cose, una volta tanto, ma senza dimenticare il processo storico di un significativo cibo di campagna.

Paolo Tibaldi

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