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Mancano medici e infermieri all’Avis

Il presidente provinciale Flavio Zunino spiega i problemi che le associazioni di donatori devono affrontare

L’albese Flavio Zunino eletto presidente provinciale dell’Avis
Flavio Zunino, presidente dell'Avis provinciale.

ALBA Come riportato sugli scorsi numeri di Gazzetta d’Alba, il mondo del volontariato piemontese legato al dono del sangue soffre la carenza di medici e infermieri. Dopo aver interpellato i vertici Fidas, abbiamo chiesto il parere al presidente provinciale dell’Avis, l’albese Flavio Zunino.

Zunino, a cosa è dovuta questa situazione?

«Si tratta di un problema latente che, da quando è scoppiata la pandemia, è venuto a galla. Da alcuni anni, la legge prevede che i medici e gli infermieri che collaborano con noi non possano frequentare i corsi di specializzazione universitari. Un grande bacino potenziale è tagliato fuori, dato che molti di loro sono giovani che non percepiscono ancora lo stipendio completo. Aiutando l’Avis non ci si arricchisce di sicuro, ma è previsto un rimborso spese che potrebbe fare comodo a molti. Se già prima eravamo in difficoltà, con il Covid-19 una parte dei medici e degli infermieri disponibili ha optato per prestare servizio nei centri vaccinali. Non discuto certo questa nobile scelta, ma di fatto ora le associazioni di donatori di sangue sono in carenza di personale. Il bisogno di sangue è sempre costante, ma purtroppo i gruppi e le sezioni sono costretti ad annullare o spostare tante donazioni già programmate. È già accaduto anche nelle Langhe e nel Roero e spero che la gente capisca che noi dell’Avis, purtroppo, possiamo fare nulla».

Da dove arrivano medici e infermieri?

«Per la zona dell’Albese e del Braidese, i medici sono dell’Avis intercomunale Arnaldo Colombo di Torino. Prima del 2020 erano una trentina, ora sono dimezzati. Dei due dottori che prestano servizio nella sede di Alba, una ha dovuto abbandonare una volta iscrittasi alla specializzazione. Sempre ad Alba c’è un gruppo di una decina di infermieri che, a volte, si spostano a Bra. Senza loro, da Torino non riuscirebbero a inviarci il personale necessario. Diverso è il discorso per il resto della provincia, dove esistono i centri trasfusionali di Cuneo, Mondovì e Savigliano e sono tutti dipendenti dell’Asl Cn1. Anche qui, però, sono giusti giusti. Alcune sezioni sprovviste di autoemoteca hanno dovuto dirottare i donatori in ospedale, visto che le loro sale non erano adeguate per affrontare in sicurezza l’emergenza Covid-19».

Che soluzioni andrebbero adottate per risolvere il problema?

«Seguendo l’esempio di altre Regioni, il Piemonte dovrebbe introdurre una deroga al divieto di collaborazione per gli iscritti alla specializzazione. Il personale sanitario dovrebbe essere incentivato a frequentare il corso necessario per effettuare le donazioni. Tutto, poi, si può ricollegare ai tagli alla sanità perpetuati negli anni, ai pochi concorsi per l’immissione in sevizio dei lavoratori e alla carenza generale di personale qualificato, legata anche ai meccanismi del numero chiuso che limitano la frequenza dei corsi universitari. In ultimo, bisognerebbe far capire anche ai politici che, se non si va a donare, il sangue non arriva e chi ne ha bisogno resta senza».

Davide Barile

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