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Bisognosi di una Parola che ci tiri sù di morale

PENSIERO PER DOMENICA – TERZA DI AVVENTO – 12 DICEMBRE

La terza domenica di Avvento è la domenica della gioia. È un tema molto caro a papa Francesco, che già nell’Evangelii gaudium scriveva: «Il grande rischio del mondo attuale… è la tristezza» (n. 2). Oggi poi, soprattutto in seguito alla pandemia, attorno a noi c’è tanta tristezza, c’è negatività, c’è caduta della speranza. Abbiamo bisogno di una Parola che ci “tiri sù di morale”.

Bisognosi di una Parola che ci tiri sù di morale

La gioia è un dono di Dio. È la tesi del profeta Sofonia, vissuto ai tempi del re Giosia (640-609 a.C.), il sovrano di Giuda che con la sua riforma salvò il regno dalla decadenza. Le scelte del re, finalizzate a una convivenza civile più serena, sono lette dal profeta come segni della presenza e dell’azione di Dio in mezzo al popolo: «Il tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te». Vivere in un Paese ordinato, pacificato e civile, ai tempi di Sofonia, era principio di gioia. Ne abbiamo bisogno anche oggi. Solo Dio e una relazione buona tra di noi, come fratelli e sorelle, può darci la gioia del cuore!

La gioia è frutto della gentilezza. San Paolo, nella lettera ai Filippesi (4,4-7), ricorda, molto concretamente, che il veicolo della gioia è l’affabilità: non solo il volersi bene, ma il trattarsi bene tra fratelli, dentro la comunità, con quella gentilezza, raccomandata dalla Fratelli tutti. La gentilezza nasce da un cuore pacificato e dalla convinzione che anche gli altri hanno diritto a essere felici. Comprende il «dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano», invece di «parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano» (Amoris laetitia, 100). La gentilezza rende la vita più sopportabile, apre strade di incontro.

La gioia nasce dalle scelte di vita. Ecco l’invito di Giovanni Battista a condividere il superfluo (a quei tempi il doppio vestito!), a essere giusti nel lavoro (nel lavoro ci si realizza e ci si salva, anche facendo bene il mestiere di soldato o di esattore delle tasse, le due professioni forse più odiate a quel tempo!), a lottare per togliere dalla nostra vita la zizzania, il male (la “pula” del grano non la “paglia”, come erroneamente tradotto!). Da soli non ce la possiamo fare: non basta un battesimo di acqua, ossia di pentimento, con un sincero proposito di cambiamento. Per liberarci dalle forme più resistenti di male, quelle che rovinano la vita e rendono la terra inospitale: terrorismo, guerra, inquinamento, chiusure egoistiche, disprezzo dei poveri, sfruttamento, schiavitù… abbiamo bisogno del battesimo «in Spirito Santo e fuoco». Un dono di Gesù, come la gioia.

Lidia e Battista Galvagno

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