Piero Negri Scaglione: «Fenoglio è, e resterà, giovane»

Piero Negri Scaglione: «Fenoglio è, e resterà, giovane»

L’INTERVISTA Erano tanti – per le norme d’oggi decisamente troppi – il 5 ottobre 1996 in San Domenico, ad Alba, per assistere a Un giorno di fuoco. Musica, parole, immagini per Beppe Fenoglio: concerto dei Csi (Consorzio suonatori indipendenti guidati da Giovanni Lindo Ferretti) accompagnato da letture e interventi di persone che avevano conosciuto Fenoglio sotto la regia di Guido Chiesa. Poi venne il documentario del ’98 per la Rai, Una questione privata. Per Piero Negri Scaglione furono i due punti di partenza per arrivare al completamento di Questioni private. Vita incompiuta di Beppe Fenoglio, uscito in prima edizione nel 2006 e oggi in libreria in una versione ampliata, che sarà presentata al Sociale domenica 6 marzo, alle 16.30, con l’intervento di Massimo Zamboni, cantautore e già chitarrista dei Csi. «Scelsi di prendere una direzione particolare: dare una impostazione narrativa alla ricostruzione di fatti reali. L’idea era di scrivere la vita, più che la classica biografia», racconta Piero. Il lavoro alla base aveva le interviste a «decine, forse centinaia di persone», raccolte sentendo il dovere di ascoltare, divulgare e conservare «i racconti e le testimonianze di una generazione che sentivamo avremmo avuto con noi ancora per poco».

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Da allora, in questi 25 anni, come hai visto evolvere la figura pubblica di Fenoglio?
«Il ’96 per me rappresenta una stagione che ha segnato un passaggio importante nei riguardi di ciò che gli studiosi chiamano la ricezione, la lettura e la considerazione di Fenoglio. A lui stesso va il merito, noi cavalcammo l’onda che lo portava, con la sua opera, un po’ fuori dall’ambito degli studi e delle diatribe filologiche, che sono una sorta di autopsia, per usare un termine forte. Fenoglio e i suoi libri furono rimessi dov’è giusto che stiano: nel mondo vivo di chi lo legge. In quell’occasione i Csi non erano altro che lettori di Fenoglio – citato in Linea Gotica, album bellissimo – che da lui avevano tratto ispirazione. Secondo me il punto fondamentale è: Fenoglio è patrimonio pubblico, tra l’altro di molti giovani, ed è il momento di interpretarlo, viverlo creativamente in un modo nuovo. Sarebbe bello che il centenario lo sottolineasse».

Cosa propone la nuova edizione del tuo libro?
«L’epilogo, dedicato al ritrovamento delle armi nel 2013. E una piccola chicca: il nipote di Leonardo Sciascia mi ha fatto leggere una lettera di Enzo Tortora a suo nonno. Il conduttore televisivo racconta al letterato siciliano di essere stato ad Alba, a cena con Fenoglio, pochi mesi prima della morte dello scrittore, e di averlo trovato ignaro ma sofferente. Da un lato rivela che tra i due, conosciutisi in occasione della partecipazione di Alba a Campanile sera nell’inverno del ’61, si era creato un rapporto; dall’altro fa trasparire l’apprezzamento di Sciascia per Fenoglio».

Le armi nel sentire comune, con un pizzico di ipocrisia, sono viste con distacco e orrore: che reazione hai avuto al loro ritrovamento e in che modo hanno implementato il tuo racconto?
«Sul momento, un po’ romanzescamente, mi è sembrato fossero come un messaggio del passato, il contenuto di una capsula del tempo ritornata alla luce a cinquant’anni dalla morte di Fenoglio. Poi ho riflettuto sul fatto: la carabina e la pistola sono esattamente le armi di Milton. E se si legge Una questione privata pensando solo a esse, si scopre che sono le uniche compagne del protagonista nel suo girovagare sulle colline, nella sua ricerca del fascista da scambiare con Giorgio e nel tentativo di ritornare alla villa di Fulvia. C’è una reticenza ideologica diffusa nel parlare delle armi, ma erano importanti, tanto che Fenoglio non le restituì, come molti altri. Per capire il motivo ho fatto un’inchiesta giornalistica, parlato con gli eredi di partigiani come Mauro Ghiacci (figlio di Piero, il Pierre di Fenoglio); con Luciano Boccalatte, che mi ha spiegato l’aspetto delle armi conservate da alcuni pensando al dopo Liberazione. Non credo che sia stata la volontà di Fenoglio. Penso le abbia tenute come memoria di sé stesso partigiano, che era la definizione alla quale teneva, insieme a quella di scrittore. C’è un pizzico di ipocrisia e anche di concezione retorica della Resistenza e della guerra – che a Fenoglio non sarebbe piaciuta – nel non parlare delle armi. Le sue, americane, hanno un significato storico ed evocativo. Mi piace pensarle come una sorta di ultimo messaggio di Fenoglio».

Cosa ti piacerebbe nascesse dalle opere di Fenoglio, in iniziative editoriali, ma anche di altro tipo?
«Sarebbe bellissimo un film sulla vita dello scrittore, idea accarezzata a suo tempo anche da Chiesa. La mia speranza è che artisti, scrittori, musicisti, dei teatranti continuino a lasciarsi ispirare da Fenoglio. Ma non è il mio mestiere: mi piacerebbe che qualcuno mi sorprendesse, come fecero i Csi».

Perché il sottotitolo Vita incompiuta?
«Beppe Fenoglio è morto a quarant’anni, giovane. E tale rimarrà per sempre, con la bellezza e anche il rammarico per quanto avrebbe per quanto avrebbe potuto essere e purtroppo non è stato».

Paolo Rastelli

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