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Traffico illecito di rifiuti ferrosi: una misura cautelare anche a Bra

Traffico illecito di rifiuti ferrosi: una misura cautelare anche a Bra
Un momento delle riprese eseguite dalla Finanza

BRA Risiede nella città della Zizzola una delle 33 persone raggiunte ieri (martedì 8 marzo) da un’Ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Torino a conclusione delle indagini sul traffico illecito di rifiuti metallici, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia e condotta dal Nucleo di Polizia economico finanziaria della Guardia di finanza del capoluogo regionale, terminata col sequestro di otto società e beni per 270 milioni di euro.
Secondo il quadro accusatorio, ricostruito dal procuratore Giuseppe Riccaboni, le persone fermate avrebbero operato in tre distinte associazioni a delinquere regolarizzando, attraverso la produzione di certificazioni di conformità false, rilasciate da aziende intestate, talora a prestanome, un flusso di rottami metallici di dubbia provenienza, permettendo così ad altre aziende utilizzatrici, attive fra Piemonte e Lombardia, di rispettare i vincoli imposti dalle norme europee sulla tracciabilità dei materiali di recupero.

Fra le realtà interessate dall’operazione delle fiamme gialle, una ha sede a Borgo San Dalmazzo: gli acquisti, da parte degli utilizzatori, risultavano regolari, grazie ai documenti rilasciati, e il denaro, versato dalle aziende ai titolari delle aziende che svolgevano la mediazione, veniva prelevato presso gli sportelli postali e restituito, in nero, alle società dalle quali era partito, a fronte di un compenso compreso fra il 5% e l’8% trattenuto dalle organizzazioni criminali. In questo modo gli utilizzatori finali riuscivano anche a far figurare costi inesistenti, beneficiando di sgravi fiscali irregolari.
È stato un sequestro di contante, operato alla fine del 2018 durante un controllo su strada a un titolare di una ditta di recupero metalli, ad avviare le indagini: intercettazioni telefoniche, filmati e tracciamenti Gps hanno permesso di svelare il traffico e l’esistenza dei gruppi, attivi almeno dal 2015. Per comunicare fra loro, gli indagati, utilizzavano un linguaggio cifrato, per sviare i sospetti. Le perquisizioni domiciliari sono state eseguite in 50 siti non solo nelle province di Alessandria, Cuneo e Torino, ma anche in Lombardia, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Campania, Puglia e Sicilia.

Davide Gallesio

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