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Gli ibridi, via possibile per eliminare i trattamenti, ma con la grande incognita della qualità dell’uva

Confido che i giovani custodiscano l’amata Langa

IN VIGNA I viticoltori italiani negli ultimi due secoli si sono confrontati e hanno superato molti problemi. Il più grave, un vero dramma, i tre flagelli (peronospora, oidio, fillossera) nell’Ottocento. Oggi, in un contesto cambiato in meglio si profila all’orizzonte un nuovo e importante problema: l’utilizzo di fitofarmaci per le malattie della vite.

Occorre una premessa: solo con l’uva sana si fa un vino di buona qualità, la lotta antiparassitaria è doverosa. Il problema riguarda la salubrità ambientale tra le colline vitate: occorrono risposte adeguate. La ricerca scientifica mette a disposizione dei viticoltori varie soluzioni, ognuna con i propri limiti e costi: antiparassitari con indice di tossicità molto ridotto, sistemi di irrorazione sulla vite con minima dispersione ambientale, lotta biologica. E l’utilizzo di ibridi resistenti, che stanno prendendo piede in varie regioni. Si tratta di piante ottenute da incroci di vitis vinifera con un altro genere di vite che possiede nel Dna geni di particolare interesse per i viticoltori: per esempio la resistenza allo stress, ai cambiamenti climatici o alle malattie crittogame.

Resta un problema, per nulla marginale: la qualità dell’uva, che dovrebbe continuare a corrispondere a quella prodotta dalla vite europea. Soprattutto è indispensabile che nel vino a cui quest’ultima darà origine si ritrovino nettamente i caratteri specifici di Barbera, Cabernet, Nebbiolo e via di questo passo. Purtroppo la sperimentazione presso università o centri di ricerca dimostra che l’obiettivo è molto difficile da ottenere. Al momento sono dieci le varietà autorizzate per le prove in Veneto e Friuli. Sono cinque vitigni a bacca bianca e altrettanti a bacca nera. Per ora la qualità è lontana: i vini da ibrido ricordano il profumo e il classico gusto di foxy (leggi volpino).

Le norme pongono forti limiti all’utilizzo di questi incroci, all’inizio vietati per i vini con indicazione d’origine, ma in altre parti d’Italia ci sono state deroghe: è auspicabile che non accada in Piemonte.

Lorenzo Tablino

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