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I prigionieri dell’eternità: un romanzo per parlare del mito dell’immortalità

I prigionieri dell'eternità: un romanzo per parlare del mito dell'immortalità

EDICOLA Giuseppe Amato è un medico che ha lavorato per anni in Medicina generale a Bra, dove tra l’altro ha ricoperto anche il ruolo di primario facente funzione. Diabetologo e geriatra, è l’autore di un romanzo interessante. Attualmente ricopre il ruolo di direttore sanitario dell’Istituto Ottolenghi di Alba. Ha pubblicato nelle scorse settimane un racconto dal titolo I prigionieri dell’eternità, pubblicato da Leone editore, che seppur fantastico, affronta i tabù legati alla morte e tocca un tema molto importante ed attuale: fino a quando continuare le cure?

LA TRAMA

Si tratta di un’avvincente avventura ambientata in un luogo Kaleydos, dove è proibito morire. Una rigida dittatura sanitaria impone cure disumane e accanimento terapeutico su chiunque abbia la sventura di ammalarsi. I ministri del culto professano una religione unica, fondata sull’inviolabilità della vita a qualsiasi costo. Gli abitanti alla nascita vengono sottoposti alla virtualizzazione, un procedimento che collega le loro menti alla rete virtuale, e consente ai vertici del governo di controllare ogni aspetto della loro esistenza. E, quando la loro vita giunge al termine naturale, le loro menti vengono scaricate su un server e i loro corpi plastificati per mantenerli in una vita artificiale e forzata. Il giovane Santiago, sfuggito alla virtualizzazione per volere della madre, è costretto dal padre a diventare un medico della Polizia sanitaria. A disagio e fuori posto in una realtà in cui l’omologazione reprime l’individuo a favore della massa, il suo precario equilibrio mentale vacilla quando incontra Mary, un’altra ragazza non virtualizzata, di cui si innamora. Grazie a Mary, Santiago entra nel Movimento, un gruppo di giovani rivoluzionari che vuole cambiare le cose.

Spiega Giuseppe Amato: «Molti anni fa, durante gli anni di lavoro in ospedale, mi venne l’idea di scrivere un libro riguardo la mia esperienza di medico. Notavo che la medicina aveva perso il suo scopo: non curava più le persone, ma le malattie. Mi chiesi come mai e mi resi conto che era un discorso legato al profitto. Il romanzo parla dei tabù del mondo contemporaneo, della paura della morte e della malattia. Facciamo fatica a pensare che un giorno dobbiamo morire e viviamo nell’illusione dell’immortalità. Questa però è illusione creata per farci vivere in funzione della tecnologia che tutto risolve. Invece, spesso porta altro dolore e nulla di positivo per la persona».

Il romanzo pur lasciando un messaggio importante è scorrevole e una storia d’amore sullo sfondo di tutto il racconto rende piacevole la lettura.

Lino Ferrero

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