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La foto della Comunione di Violetta nella vetrina di Agnelli in via Roma

Si è spento a 98 anni il fotografo albese Aldo Agnelli

LETTERA AL GIORNALE Ho appreso della scomparsa di Aldo Agnelli. Un grandissimo fotografo di Alba e di Langa. Un poeta dell’immagine. Da bambino perdevo lo sguardo su quei capolavori in vetrina. Una foto più bella e affascinante dell’altra: ti pareva di volare dentro quelle immagini, le più in bianco e nero. Colline, brume di Langa, alberi, ma anche matrimoni e ritratti di studio. C’è un cenno nel mio L’Alba dei miracoli, romanzo ambientato ad Alba negli anni del boom economico. Questo il brano:

Don Basso si fece una seconda risata e disse: «Ancora aprù che si scherzi un po’. Benedette risate. Fanno buon sangue e sciolgono i mali. Meglio dei dottori. Riuscivamo a ridere – poco – quando c’era la guerra, sarebbe andermage non lo facessimo adesso». «Ca pija na cadrega, parcu» gli disse nonna facendolo sedere accanto a Mira, dall’altra parte del tavolo rispetto al curato. «Bene, bene» approvò il canonico togliendosi il cappello nero «meglio non mettere due preti vicini. Peggio che due galli in un pollaio. E poi, così divisi spargiamo meglio la benedizione». Rise di cuore, il parroco, seguito dal curato e da tutti gli altri. Vigin per primo, che si sentiva in debito. Madrina più di tutti, felice di sedere accanto a una personalità così. Gustatasi la risata (sua e degli altri), il canonico si asciugò la pelata, sudata per aver tenuto il cappello, lucida sotto il sole malamente filtrato dalla tenda della finestra, e raccontò di quando mamma aveva fatto la prima Comunione. C’era già lui, allora. «Sono proprio un bel pezzo da museo» tuonò spezzando la frase con una delle sue formidabili risate. «Oh diauleri, bello poi…» concluse, le lacrime agli occhi. Risero, nonna Cristina e mamma. Meno, nonna Pierina. Lei ascoltava e taceva, tenendo la mano a Miclin che se la godeva come un matto, dando fuori di tosse più che di risata mentre gli occhi gli brillavano. Nonna Cristina era di buon umore, insolitamente ciarliera, e raccontò al parroco i preparativi di quella festa: «Me lo ricordo» esordì puntando gli occhi lucidi su mamma. «Ti abbiamo portata dalle Valentine, le due sorelle di via Rattazzi che facevano i più bei vestiti. Io avevo con me un tessuto bianco, bello fine, nella sporta di tela: l’ho mostrato alle sorelle, loro l’hanno guardato e tastato, poi hanno preso le misure a Violetta. Finito, l’hanno messo in baule. “Che cosa fa, signora Valentina?” ho chiesto preoccupata vedendo sparire la stoffa. “Niente” hanno risposto “poi incominciamo”. Erano brave, ma di un lento! Altro che voi» disse rivolgendosi ai miei zii sarti che risero compiaciuti, tutti goduti per come portavo il loro vestito, e proseguì: «È venuta proprio bene, quella vesta, Violetta. Ma se guardavi sotto, perdeva tutta la poesia: per risparmiare, perché chi spreca crepa, le sartoire ti avevano confezionato una sottoveste spessa con lana di recupero di tutti i colori, sembrava un vestito di Carnevale, ma tanto mica si vedeva. Così bello che il fotografo ti ha fatto una bella foto». Mamma sorrise, papà le prese la mano. Nonna continuò: «Una notte mio padre Parìn, bunanima, che nessuno chiamava col nome, Giuseppe, è venuto a svegliarmi. Lui era il capo di quattro guardie notturne e tornava tardi dopo i giri. Io ero stanca, lavoravo da operaia di giorno, di notte ero agitata e faticavo a prendere sonno, e allora quando mi addormentavo mi spiaceva se qualcuno mi disturbava. “Cristina, desvijte” mi ha detto mio padre scuotendomi nel letto per farmi svegliare. Ho dato un balzo e un termurùn, ho impiegato un po’ a capire che era Parìn e che mi trovavo nella mia camera. “Va’ ‘n poc a vughe Violetta, an via Ruma, va’ a vedere Violetta in via Roma”. Mi son messa in piedi, tuta agità, col cuore attaccato a un filo, pronta a vestirmi. “Cume, Viul’tta an via Ruma, na masnà ed ses agn?” Già avevo male al cuore, non potevo reggere sorprese così. “Ma no, ma no” ha detto Parìn “an via Ruma, da Agnelli, i’jè ‘na foto angrandija ed Viul’tta vestija da Prima Cuminiun. Bela, Viul’tta, e bela, la foto”. Agnelli che aveva bottega da fotografo in via Maestra, gli aveva chiesto di poter mettere nella vetrina di via Roma la foto ingrandita e colorata, e in cambio gliel’avrebbe regalata. Ovvio, la risposta era stata sì».

 Teresio Asola

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