Sicurezza in rete: «Nessuno dovrà soffrire come Carolina»

7 febbraio 2021 - Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo

L’INTERVISTA Ieri, lunedì, all’Associazione commercianti albesi, Paolo Picchio, presidente della fondazione Carolina, ha incontrato gli albesi: il fenomeno del cyberbullismo è stato affrontato a fondo, per fornire strumenti per riconoscerlo e reagire. Purtroppo, la strada è ancora lunga: nonostante sia stata approvata una legge nel 2017 e oggi ci sia una maggiore attenzione al fenomeno, si stima che almeno il 31 per cento – 3 su 10 – dei minori italiani sia stato vittima di cyberbullismo. È per questo che, in occasione della Giornata mondiale della sicurezza in Rete, che ricorre proprio oggi, martedì 7 febbraio, la fondazione Carolina ha lanciato l’iniziativa #Cyberjoy, concepita con lo scopo di diffondere un modo più sano di vivere la dimensione on-line. A margine dell’incontro albese, abbiamo intervistato Paolo Picchio.

Paolo, le sembra ci sia abbastanza consapevolezza del fenomeno del cyberbullismo con le sue drammatiche conseguenze sui più giovani?

«Da quando è nata la fondazione, abbiamo incontrato più di 400mila studenti. E sono proprio loro a manifestarci un fortissimo bisogno di aprirsi e di raccontarsi. Se la legge ha posto confini giuridici al cyberbullismo e ha potenziato i percorsi educativi, spesso gli adulti non hanno strumenti per affrontare ciò che accade on-line, a partire dai genitori: per un adolescente che trascorre connesso fino a 12 ore al giorno, come ci dicono i dati, gli insulti e i commenti denigratori hanno un peso enorme. Quando si ritrovano in balìa del Web, la vergogna è tale da essere ingestibile; bisognerebbe reagire, ma è molto difficile da soli. Si rischia il cortocircuito, che può portare a gesti estremi. Per questo, la fondazione Carolina si rivolge ai ragazzi e alle ragazze: è importante aiutarli ad avere stima in loro stessi e fare capire che non devono dipendere dal giudizio degli altri».

Come dovrebbero comportarsi i genitori?

«Quando i figli rientrano da scuola, la domanda che i genitori rivolgono loro è sempre la stessa: com’è andata? Di solito, la conversazione si chiude con qualche frase generica, senza andare a fondo, proprio perché non ci si parla più e questo è un primo problema. D’altro lato, se guardiamo alla dimensione digitale, tende a essere vista dai genitori come qualcosa di estraneo alla vita reale del figlio, quando non è così, dal momento che occupa una parte molto rilevante delle giornate dei ragazzi. Per questo, oltre a chiedere della scuola, dello sport e degli amici, bisognerebbe anche cercare di intercettare eventuali problematiche vissute on-line. L’importante è iniziare a chiedere e dimostrare interesse, perché è difficile che un adolescente manifesti da solo il proprio disagio: la vergogna porta purtroppo alla chiusura in sé stessi».

Le sembra che il mondo della scuola sia pronto?

«Rispetto ad alcuni anni fa, c’è più formazione e ci sono senza dubbio insegnanti molto preparati. Ma troppo spesso la scuola rimane ancorata alla didattica e non va oltre, tralasciando l’emotività dei ragazzi. Servirebbero percorsi strutturati, per intercettare il disagio: durante i nostri incontri nelle scuole, suggerisco agli insegnanti di cercare di capire perché uno studente rimane da solo durante l’intervallo o è isolato dal resto della classe. Lo dico anche al resto del personale scolastico, perché tutti possono fare la propria parte. Con l’iniziativa #Cyberjoy, che punta a diffondere una maniera gioiosa di vivere l’ambiente digitale, abbiamo messo a disposizione materiale didattico per scuole e famiglie».

La prima vittima di cyberbullismo per cui sia stato celebrato un processo in Italia

Dice Paolo Picchio (Aca): «Nessuno dovrà soffrire come Carolina»«Da soli non ce la possono fare». Paolo Picchio ripete spesso questa frase, scandendo ogni parola, perché rimanga bene impressa nella mente. Racchiude il senso della sua missione, che da anni lo porta nelle scuole a incontrare studenti, genitori, insegnanti, educatori e istituzioni.

È il papà di Carolina, la prima vittima di cyberbullismo per la quale sia stato celebrato un processo in Italia. Era la notte tra il 4 e il 5 gennaio del 2013, quando la ragazza si è gettata dalla finestra della sua camera, a Novara. Un gesto estremo, la risposta disperata al dramma che stava vivendo. Che cosa era accaduto? Dopo una serata in pizzeria con gli amici, Carolina si è chiusa in bagno perché non sta bene. Ha bevuto troppo e perde conoscenza. Il branco, però si approfitta di lei: la accerchiano e mimano atti sessuali espliciti, mentre registrano un video con l’intento di screditarla. Dalle chat ai social, il passo è breve e la macchina dell’odio si attiva: da ragazza sorridente e socievole, si ritrova in un tunnel di insulti e commenti denigratori da parte di persone che neppure la conoscono. Prima di mettere fine alla sua vita, Carolina scrive tutto in una lettera, perché «ciò che è accaduto a me non deve più succedere a nessuno».

Suo padre raccoglie queste parole e le fa proprie. Nasce così la fondazione Carolina, che affronta il tema del cyberbullismo su tutti i fronti: dalla ricerca e dalla prevenzione, con incontri continui in ogni parte d’Italia, al supporto concreto, grazie a una rete di professionisti. Nella serata di ieri, ad Alba, Paolo Picchio è stato ospite all’Associazione commercianti albesi, insieme a Paolo Bossi, formatore della fondazione.  

La denuncia lanciata dall’adolescente: «Le parole fanno più male delle botte»

Quando Carolina, disperata, si è gettata dalla finestra, ha lasciato un messaggio d’addio, diventato un monito: «Le parole fanno più male delle botte. Ciò che è accaduto a me non deve più succedere a nessuno». Una denuncia che ha rotto il silenzio: era il 2013, i social stavano già cambiando le relazioni, soprattutto quelle tra ragazzi, che corrono veloci, nella vita e sul Web. Alcuni avevano già conosciuto il sapore amaro del cyberbullismo, ma Carolina è crollata. Prima, però, ha trovato la forza di denunciare, di fare i nomi e raccontare la sua storia in una lettera. Un messaggio che ha consentito al Tribunale dei minorenni di Torino di celebrare il primo processo sul cyberbullismo in Italia, con condanne esemplari: le condotte, anche virtuali, che hanno portato Carolina a togliersi la vita, non possono essere derubricate a semplici “ragazzate”. Il dibattimento, conclusosi nel dicembre 2018, ha determinato con chiarezza l’inequivocabile correlazione tra determinati comportamenti, alcuni dei quali criminali, e i fenomeni del bullismo on-line.

Che valore ha per lei portare avanti l’attività della fondazione per Carolina, Paolo?

«Cito un episodio avvenuto dopo un incontro: come mi ha raccontato una mamma, per la prima volta il figlio l’ha abbracciata, al rientro da scuola. “Me lo ha detto il papà di Carolina”, ha detto. Per me, ha un valore immenso, perché la fondazione Carolina è nata con questo spirito. Avevo una figlia meravigliosa, intelligente e piena di risorse: mai avrei pensato potesse arrivare a compiere un gesto del genere. Ci impegniamo perché non ci siano altre vicende drammatiche e perché altri genitori non debbano soffrire come noi. Mi riferisco anche alle famiglie dei ragazzi che sono stati condannati per averle fatto del male: anche in questo caso parliamo di vite distrutte. Certo, avrei preferito portare avanti l’impegno con Carolina al mio fianco, ma le sue parole hanno dato vita a tanto altro e spero che aiutino le persone a essere più sensibili. Come ha scritto lei, “le parole fanno più male delle botte”. E allora invito i giovani a usare una lingua gentile sui social, anziché riversarvi tanto odio».

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