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Tornano i lavoratori delle vigne: la loro vita resta all’addiaccio

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I resti degli accampamenti dei migranti al parco Tanaro

MIGRANTI Il rudere in cui avevano trovato rifugio è uno scheletro di graffiti e sporcizia, proprio all’inizio di uno dei sentieri di accesso più frequentati del parco del Tanaro, passando dal parcheggio che affaccia su corso Nino Bixio. Dall’altro lato della stradina sterrata si trova il campo da golf, mentre la sede di Egea è a pochi passi. A una manciata di metri, si può raggiungere lo spiazzo che il Comune ha ripulito di recente, perché il festival di Collisioni possa animarlo.

Nel frattempo il polmone verde di Alba continua a parlare di contraddizioni e di indifferenza: nel rudere, fino a poco più di una settimana fa, vivevano tre giovani lavoratori di origine africana, arrivati in città pochi giorni prima per cercare un’occupazione in agricoltura – che ad Alba significa vigneti –, richiamati da una stagione anticipata a causa del cambiamento climatico.

Finiti in un girone dai contorni grigi o neri, si erano accampati tra i muri diroccati, gli stessi che in precedenza avevano nascosto altri disperati. Dei lavoratori, oggi restano le tracce: una tenda da campeggio collassata su sé stessa, che nasconde abiti logori e qualche coperta. Ci sono anche alcune pentole, un fornellino da campo e diverse taniche di acqua. È un luogo fatiscente: si cammina sul cemento, tra rifiuti e foglie bagnate, con temperature considerate troppo miti per il benessere del pianeta, ma che sono estremamente rigide per chi dorme all’aperto su un materasso logoro.

Se si prosegue lungo il sentiero, all’altezza della palestra di via Generale Dalla Chiesa, rimangono i resti di un secondo rifugio improvvisato: a pochi metri dalle acque marroni del fiume, si notano due sedie scrostate, alcune scatole di cibo vuoto e i resti di un fuoco. Fino a pochi giorni fa, c’era una tenda, il cui perimetro è ancora tracciato per terra. I resti di un terzo bivacco si trovano dall’altra parte del parco, dove la vegetazione è più fitta.

Nelle ultime settimane, sono stati una decina i lavoratori stagionali intercettati dal Centro di prima accoglienza della Caritas albese: tra le zone in cui c’erano bivacchi, figura anche l’area del cimitero. Walter Boffa fa parte della comunità Laudato si’-Gazzetta d’Alba, una delle realtà cittadine in prima linea sul tema, oltre a essere attivo alla Caritas: «A dicembre, al Tanaro non c’erano insediamenti. A gennaio, invece, sono arrivati i primi braccianti, richiamati dall’inizio del lavoro sulle colline, i cui tempi sono cambiati per via delle temperature miti: in queste settimane, al posto della neve, tra i filari ci sono già squadre all’opera», ci spiega il volontario. «Per questo, parlare di stagionali è improprio: c’è bisogno tutto l’anno di manodopera, ben oltre al picco della vendemmia».

L’aiuto nella mensa della diocesi

Tornano i lavoratori delle vigne: la loro vita resta all’addiaccio

Dopo la tappa al parco del Tanaro, mercoledì scorso siamo stati anche in via Pola, verso l’ora di cena. Sono trentanove le persone accolte in questo momento dal centro gestito dalla Caritas diocesana: una quindicina sono stranieri che lavorano in vigna. Gli altri sperimentano situazioni diverse: c’è chi è arrivato sul territorio come bracciante agricolo e poi ha trovato impiego in aziende di altri settori, con le ben note difficoltà a trovare un alloggio in affitto, così come non mancano persone che vivono problemi per altri motivi.

Come spesso accade, il numero di ospiti è superiore rispetto ai posti letto, tanto che gli operatori sono stati costretti ad allestire soluzioni di emergenza. In fondo, la filosofia di questo angolo di Alba è sempre la stessa: aiutare. Ai tavoli, riconosciamo i volti di alcuni giovani africani che avevamo già incontrato a settembre: Gazzetta d’Alba, attraverso le loro storie, aveva raccontato l’altro volto della vendemmia sulle colline Unesco, tra sfruttamento e situazioni al margine della legalità.

Spiega il volontario Boffa: «Diversi ragazzi hanno deciso di rimanere in pianta stabile, in prospettiva della ripresa del lavoro». Loro annuiscono: «E in effetti alcuni hanno lavorato nei vigneti persino il giorno di Natale e durante le festività».

Nel frattempo, hanno sempre continuato a vivere al Cpaa, per una serie di motivi che non permettono loro di avere alternative: senza contratto o con ingaggi brevi, percepiscono stipendi miseri, pur lavorando sette giorni su sette e per molte ore. «Come possono, in queste condizioni, pensare di trovare una casa in affitto o cercare di essere autonomi? E il paradosso è che, con una diffusione sempre maggiore della viticoltura e con il calendario agricolo attuale, il settore dei vini Unesco ha fortemente bisogno di loro».  

Ci servono le loro braccia tra i filari e tuttavia non li accettiamo

Tornano i lavoratori delle vigne: la loro vita resta all’addiaccio 2Parlare di cooperative che gestiscono i migranti è semplicistico, perché si tratta di realtà dai profili diversi. In termini concreti rispondono al bisogno di lavoratori richiesti dalle aziende. Ad accomunarle, spesso c’è anche un modus operandi dai contorni che sfuggono alla legalità.

Boffa traccia il quadro della situazione: «Abbiamo assistito ad alcuni casi di assunzione diretta da parte di aziende, con contratti regolari e fornendo ai lavoratori tutto il necessario. Ma, secondo le nostre valutazioni, questo scenario non è il più frequente. Si continua a delegare alle cooperative e ai terzisti tutto quello che riguarda il reclutamento e la gestione del lavoro in vigna, generando una situazione incontrollabile. Al contrario, servirebbe governare il fenomeno e sviluppare una reale politica di integrazione, insieme a tutte le istituzioni del territorio e alle rappresentanze del mondo agricolo».

Anche perché ciò che si vede ad Alba continua a essere soltanto la punta del-
l’iceberg: «Non sappiamo quanti braccianti vivono già in collina, in cascinali in cui le condizioni non sono migliori di quelle dell’accampamento. Purtroppo, quando escono dalla città, non sono più monitorabili».

Spesso si citano le differenze tra il fenomeno del lavoro straniero nelle Langhe e quanto accade in alcune aree del Sud Italia, come Rosarno: «La nostra realtà ha una particolarità: non c’è un unico insediamento, ma un territorio ampio e frammentato. Abbiamo l’impressione di trovarci di fronte a un sistema strutturato e diffuso, che difficilmente può attecchire in un terreno non favorevole». A vivere tra le colline, in queste settimane, sono alcuni bulgari reclutati per il lavoro in vigna. Sono seduti a un altro tavolo della mensa del Centro di via Pola: arrivano ogni sera, per poi tornare a dormire in un casolare alle porte della città, messo a disposizione dal datore di lavoro. «Nella casa, non hanno luce, gas e nemmeno riscaldamento», dicono i volontari.  

Cinque o sei euro all’ora senza contratto

Siamo al Centro di prima accoglienza di Alba, in via Pola. Conosciamo già gli ultimi arrivati, gli ex abitanti del Tanaro. Tra di loro c’è Osman, originario del Ghana. Ha gli occhi sempre fissi verso il basso, quando racconta frammenti della sua storia. Comincia così: «Arrivo da Napoli e sono stato chiamato da un amico che si trova già qui: mi è stato detto che il suo capo cercava persone per lavorare nelle vigne». Afferma di non avere alcun contratto: «L’ho chiesto, ma mi è stato detto di no. La paga è di sei euro all’ora: è poco, ma ho bisogno di lavorare».

Nel bivio tra prendere o lasciare, chi è in estrema difficoltà propende quasi sempre per la prima opzione, anche quando implica condizioni inaccettabili per la maggior parte delle persone. Osman è finito al Tanaro perché non sapeva dove altro andare: «Eravamo in tre: faceva un freddo terribile, tanto che rimanevo sempre con il giaccone addosso. Era tutto inutile: in piena notte sentivo il bisogno di alzarmi e di muovermi, perché i piedi e le mani erano ghiacciati. La sera, quando rientravo dal lavoro, spesso c’era così tanta umidità da non riuscire nemmeno ad accendere un fuoco». Prosegue con un filo di voce: «I volontari ci hanno portato le coperte e poi ci hanno chiesto di trasferirci al Centro di prima accoglienza: qui ho potuto fare la prima doccia da quando sono ad Alba».

Vicino a lui, c’è Lamin, anche lui arrivato da poco. Originario del Senegal, parla di una paga di cinque euro all’ora: «Ho lavorato a Roma come meccanico, ma poi mi è scaduto il permesso di soggiorno e le cose si sono complicate: per il rinnovo, mi serve un contratto duraturo, ma per le persone come me è un miraggio».

Le loro storie sono simili a quelle di un altro giovane, che racconta: «Vivevo a Cuneo, dove ero ospite di amici. Ho già lavorato qui durante la vendemmia e il “padrone” mi ha richiamato. Quando sono arrivato, mi sono subito rivolto alla Caritas, ma il dormitorio era pieno: ora vivo fuori e torno per scaldarmi durante la cena».

Il ragazzo racconta delle sue giornate in collina: «Alle sette precise, il “padrone” viene a prenderci alla stazione dei treni e ci porta in vigna. Conosco bene il lavoro, perché lo pratico ormai da anni, ma la mia paga è sempre la stessa: sei euro all’ora».

A differenza degli altri, è l’unico a mostrare un contratto: è intestato a una delle numerose realtà di intermediazione che forniscono manodopera alle aziende e che giocano un ruolo fondamentale in questo delicato meccanismo.  

Manchiamo di strategia territoriale

Lavoratori stagionali, in via Pola parte il sistema di accoglienza comunale
L’assessora Elisa Boschiazzo al Centro di prima accoglienza della Caritas albese

Ieri, lunedì 30, a Torino, in occasione della manifestazione Grandi Langhe, il consorzio Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani ha affrontato il fenomeno della gestione della manodopera in vigna, partendo dal quadro nazionale e arrivando al contesto locale. Tra le iniziative sostenute figura anche il progetto pilota dell’Accademia della vigna albese, che coinvolge un primo gruppo di lavoratori in un percorso di formazione e di assunzione diretta.

Nel frattempo ad Alba, da circa due anni, va avanti un Tavolo di confronto avviato dall’assessora ai servizi sociali Elisa Boschiazzo, con l’obiettivo di cercare di affrontare la questione: «Purtroppo non abbiamo avuto una risposta incisiva dai sindaci degli altri Comuni e nemmeno dai consorzi vitivinicoli», spiega. Anche alla luce degli ultimi risvolti, l’assessora ha in mente di chiedere un confronto con il Prefetto di Cuneo, «che senza dubbio ha più forza d’azione, con l’auspicio che si riesca davvero a lavorare a livello territoriale».

Per il resto, l’intenzione è quella di agire su più fronti, dall’accoglienza all’integrazione: «Abbiamo vinto un bando ministeriale che ci permetterà di sviluppare progetti mirati: stiamo pensando all’affitto di una serie di alloggi attraverso i quali dare la possibilità a persone che già lavorano di sperimentare la vita in autonomia, così da liberare posti al Centro di prima accoglienza per chi non ha altre opzioni. Tramite un’assistente sociale che ci affianca, vorremmo impegnarci anche su questo punto, proseguendo al contempo la collaborazione con le varie associazioni: a loro va il nostro ringraziamento, per l’impegno e per l’umanità che ci dimostrano, aspetti per nulla scontati». 

Francesca Pinaffo

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