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Allarme suicidi in carcere. Caucino: «Maggiore determinazione per evitare che le tragedie si ripetano»

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TORINO «Attendiamo gli esiti delle indagini, ma nel caso fosse confermato il suicidio credo che tragedie come queste siano inaccettabili e, almeno in grossa parte, evitabili. Occorre rivoluzionare le carceri italiane, applicare la Costituzione che le ha pensate come luogo di redenzione e di recupero e non come un inferno dal quale si è disposti a togliersi la vita per “scappare”». È amareggiata e addolorata l’assessore regionale alla famiglia, Chiara Caucino, di fronte alla notizia della morte, per presunto suicidio, di un detenuto di 27 anni, nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino, spirato dopo aver inalato, secondo una prima ricostruzione, il contenuto di alcune bombolette del gas. Il compagno di cella, trovato privo di sensi e trasportato all’ospedale, fortunatamente non in pericolo di vita.

Anche se le indagini per capire se si è trattato di un incidente o se i due abbiano cercato di togliersi la vita sono ancora in corso, l’assessore regionale approfitta per rimarcare quanto aveva già sottolineato nel suo saluto nel convegno, organizzato il 21 febbraio, proprio sul tema dei suicidi in carcere.

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Chiara Caucino, assessore regionale al welfare.

«Aspettiamo che gli inquirenti facciano chiarezza – precisa Caucino – ma in ogni caso bisogna ribadire ancora una volta che i suicidi in carcere rappresentano un’emergenza sociale:  parlo di emergenza perché è quella che descrivono i numeri. Solo nel 2022 le persone che si sono tolte la vita negli istituti detentivi italiani sfiorano l’ottantina. Ma il dato più toccante è che il 53% dei casi di morte dietro le sbarre avviene proprio per suicidio (percentuale più alta da quasi 100 anni), il che rende l’idea della gravità del fenomeno e della necessità di intervenire, tutti insieme, per individuare e mettere in pratica soluzioni che possano prevenire questa situazione da Paese non ancora del tutto civile».

Soltanto in Piemonte nel 2022 si sono registrati 4 suicidi nel carcere Lorusso e Cotugno delle Vallette e uno a Saluzzo. Ragazzi, ma anche uomini maturi, che non ce l’hanno fatta a sopportare il fardello che stavano faticosamente portando. L’ultimo a novembre, un signore di 54 anni. A luglio si era impiccato un pachistano: ad agosto un 24enne, nato in Brasile, mentre il 28 ottobre scorso si è tolto la vita, impiccandosi, un gambiano. Poi c’è il caso di Saluzzo dove, nella sezione di alta sicurezza, a togliersi la vita è stato un uomo di 64 anni.

«Accompagnamento sanitario e sociale, inclusione, rieducazione. Sono queste, a mio parere, a grandi linee le ricette per prevenire tali tragedie. Ma è difficile metterle in pratica in carceri concepite per una capienza decisamente inferiore a quella attuale. Per non parlare della mancanza di personale. Tutto questo deve finire – conclude Caucino».

Del tema Gazzetta d’Alba ne aveva parlato sul numero del 14 marzo; riprendiamo l’articolo.

Piemonte: 5 suicidi nel 2022

Carcere è una parola dura, ancora sorda alla possibilità di rieducazione. È sinonimo di punizione, perché le strutture detentive italiane sono affollate, poco attrezzate per favorire la crescita umana, appiattite sulla sorveglianza. I processi di risocializzazione diventano impossibili, il rischio è di schiacciare le menti e i corpi tra mura inospitali e prive di speranza.

A inizio marzo il Consiglio regionale del Piemonte, presentando i dati elaborati dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, ha comunicato che sono stati 85 nel 2022 i casi di suicidio accertati nelle carceri italiane. Di questi, cinque sono avvenuti in Piemonte: quattro a Torino e uno a Saluzzo. Secondo un altro dossier dal titolo Morire di carcere pubblicato dal portale Ristretti.it, elaborato sulla base dei dati del Ministero della giustizia, nel solo 2023 si sono già verificati dieci suicidi nelle carceri italiane. Nel complesso, dal 2000 a oggi, oltre 1.300 persone si sono tolte la vita.

I numeri raccontano esistenze che si consumano nel silenzio, lontano dalla possibilità di narrazione. Ha dichiarato Emilia Rossi, referente del collegio del Garante nazionale: «Sovraffollamento e degrado non rappresentano fenomeni nuovi: non si può attribuire loro la causa del picco di suicidi in carcere avvenuti lo scorso anno. Lo testimonia il fatto che 50 persone si sono tolte la vita entro sei mesi dall’ingresso nelle strutture, di cui 10 entro le prime ventiquattro ore. Non sono rari inoltre i casi di suicidio nel trimestre che precede l’uscita dal carcere, per la mancanza di prospettive e la paura del futuro. A un detenuto serve, una volta finito il percorso, avere prospettive diverse da quelle che l’hanno portato in una casa di reclusione: abitazione, lavoro e un clima nel quale diminuisca lo stigma».

L’assessore alle pari opportunità del Piemonte Chiara Caucino: «Spero che il carcere possa diventare un luogo di rieducazione, occasione di crescita e rinascita. L’escalation dei suicidi è un problema sul quale dobbiamo intervenire». Alle parole dovranno seguire operazioni concrete, interventi in grado di mutare le prassi detentive e culturali: chi commette un reato non può essere escluso dal circuito sociale né espropriato dei diritti umani.

m.v.

 

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