Studiosi dei geni dei diversi tuber da Nancy ad Alba

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ALBA È un tipo complicato, il tartufo bianco. I suoi geni, che contengono i caratteri ereditari e nel complesso vanno a sostanziare il genoma, contano 190 milioni di elementi; il nero si ferma a 120 milioni, i funghi normali a 60-80 milioni. È una delle particolarità emerse nell’incontro di sabato scorso ad Alba tra il Centro nazionale studi tartufo – con Antonio Degiacomi, Mauro Carbone e Isabella Gianicolo –, il presidente del Consiglio comunale Roberto Giachino e un gruppo dell’Institut national de la recherche agronomique (Inra), guidato da Claude Murat. Lo studioso francese è il primo firmatario dell’articolo pubblicato lo scorso autunno (vedi Gazzetta del 13 novembre) da Nature ecology & evolution a cura di un gruppo al quale hanno partecipato, oltre all’Inra, ricercatori del Cnr di Torino e Perugia e delle Università di Torino, Bologna, L’Aquila e Parma.

Studiosi dei geni dei diversi tuber  da Nancy ad Alba
La delegazione dell’Inra – in Italia per un convegno scientifico appena concluso a Torino – nel palazzo comunale di Alba con Roberto Giachino, Antonio Degiacomi, Mauro Carbone e Isabella Gianicolo.

Il saggio annunciava che gli studiosi avevano sequenziato i genomi del tuber magnatum Pico e del tartufo nero della Borgogna (tuber aestivum), oltre che quelli di funghi ipogei meno conosciuti, almeno alle nostre latitudini. Una scoperta che ha portato a risultati di rilievo sul piano scientifico. In sintesi e con parole da profani: la possibilità di distinguere le caratteristiche dei diversi tipi di tartufo, che posseggono tra le varie specie inaspettate somiglianze genetiche nonostante abbiano preso strade diverse nell’evoluzione cento milioni di anni fa; la scoperta che i tartufi hanno perso capacità di degradare la materia organica, probabilmente per risultare più “accetti” alla pianta che li ospita; tutti i funghi possiedono gli enzimi responsabili dell’aroma, ma non sempre questi sono espressi.

L’incontro ha dato modo di conoscere alcuni aspetti del mondo tartuficolo francese, basato essenzialmente sul nero – storicamente i siti dov’è presente il magnatum sono solo cinque o sei; sono in corso da diversi anni progetti dedicati al bianco con piante micorizzate. Oltralpe la cerca è possibile solo in determinate aree demaniali e una percentuale altissima del prodotto arriva dalle tartufaie, quasi coltivato come in una piantagione, con tecniche – per esempio sulla gestione dell’acqua – basate su studi scientifici.

E se il nero spopola come produzione in Paesi come Spagna (ora primo produttore al mondo partendo quasi da zero) e Nuova Zelanda, il tuber magnatum Pico è (quasi) un oggetto misterioso: ha raccontato Murat di un tartuficoltore che quando trovava esemplari bianchi se ne sbarazzava. Almeno fino a quando qualcuno gli ha fatto notare il valore di quello che stava buttando.

Antonio Degiacomi ha ricordato l’impegno del Centro studi per far conoscere le migliori pratiche da seguire nel bosco e il mantenimento di un certo grado di biodiversità nelle Langhe e nel Roero.

Paolo Rastelli

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