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Caporalato in Langa / Non tutte le cooperative sono uguali: per legge i lavoratori devono essere pagati 9 euro all’ora

Pesov, alla guida della cooperativa di famiglia attiva nella zona del Barolo e del Barbaresco, dice: «Il problema è che alcuni produttori vogliono spendere poco e non effettuano i controlli»

IN DIRETTA DA ALBA/ Seguiamo la manifestazione contro il caporalato in Langa 12
La manifestazione contro il caporalato lo scorso luglio, in piazza Duomo.

ALBA Non tutte le cooperative sono uguali, nemmeno quelle senza terra. Con questo modo di dire, ci si riferisce alle realtà che forniscono manodopera alle aziende, per le quali spesso rappresentano un supporto fondamentale per la gestione delle varie fasi della vite.

Boban Pesov è il custode di una storia differente rispetto a quelle respirate negli ultimi giorni sul territorio. È il titolare di una cooperativa senza terra, per l’appunto. «Un’etichetta che preferisco evitare, perché potrebbe sembrare dispregiativa», dice fin da subito. «Ci si riferisce soltanto al fatto che non disponiamo di vigneti, ma di lavoratori che forniamo alle aziende produttrici».

Pesov è operativo nell’area del Barolo e del Barbaresco. In totale, sono dieci le realtà analoghe aderenti a Confcooperative Cuneo, organizzazione che garantisce il rispetto dei contratti, un lavoro di qualità e retribuzioni adeguate. Una realtà ben diversa dalla miriade di pseudo cooperative proliferate negli ultimi anni.

Riprende Pesov: «Con Arco del lavoratore, il nome della nostra ditta, siamo partiti nel 2008, con mio padre Stojan e mio fratello Daniel: all’inizio eravamo in pochi, al massimo una ventina tra soci e dipendenti. Negli ultimi dodici anni di attività, siamo sempre cresciuti sia a livello quantitativo che qualitativo. Mio padre, il fondatore, dal 1998 al 2008 ha lavorato come dipendente presso una cantina, e in quei 10 anni ha avuto modo di imparare il mestiere, prima di sentirsi sicuro e insegnarlo a tanti altri. Con il passare del tempo, abbiamo consolidato con molti clienti non solo un rapporto lavorativo di fiducia reciproca, ma anche una vera amicizia. Io mi occupo della logistica e delle pratiche d’ufficio, oltre a essere un libero professionista».

La cooperativa oggi conta circa 120 lavoratori, 30 dei quali sono rifugiati richiedenti asilo. Provengono soprattutto dal Bangladesh.

«Sono persone con molta voglia di lavorare, senza le quali saremmo in seria difficoltà, perché è diventato sempre più difficile reperire manodopera». Prosegue il titolare della cooperativa: «Il lavoratore va trattato bene, non è pensabile offrire condizioni inadeguate sotto il profilo sia contrattuale che retributivo».

Per legge, il salario netto per ogni bracciante non può scendere sotto i 9 euro l’ora.

Alla luce degli ultimi fatti di cronaca e della mobilitazione contro il caporalato, Pesov ha le idee molto chiare: «La verità è che alcuni produttori vogliono spendere poco e così non effettuano i controlli necessari. Intendo dire che non monitorano il trattamento dei lavoratori da parte delle cooperative. Ma se il prezzo di ingaggio è troppo basso, è necessario che il produttore si faccia due domande».

Per molto tempo, secondo l’imprenditore, il fenomeno del caporalato ha interessato soltanto in misura marginale il territorio. Negli ultimi anni, qualcosa sembra essere cambiato: «Bisogna monitorare l’evoluzione del fenomeno con molta attenzione e valorizzare i punti di forza, cioè le realtà virtuose, come quelle aderenti a Confcooperative».

Pesov avanza anche una proposta: «Bisognerebbe applicare un marchio per l’identificazione della qualità delle realtà oneste e rispettose dei lavoratori: in questo modo, chi intraprende la strada dello sfruttamento potrebbe essere identificato da subito, nell’interesse di tutto il territorio».

Valerio Re

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