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L’omaggio di Mauro Pagani a De André chiude Monfortinjazz

Quarantottesima edizione di Monfortinjazz: sabato 3 agosto ore 21.30 Mauro Pagani
Mauro Pagani - foto di Florio Rizza

L’INTERVISTA L’ultimo concerto di Monfortinjazz sarà domani, sabato 3 agosto, alle 21.30 con Mauro Pagani. La rassegna nell’auditorium Horszowsky a cura di Monfortearte, per la serata conclusiva proporrà un omaggio all’opera di Fabrizio De André a quarant’anni dall’uscita di Crêuza de mä, il disco in ligure del cantautore genovese.

Pagani, classe 1946, è nativo di Chiari; negli anni Settanta fece parte dalla Premiata forneria Marconi. Ha collaborato con artisti come Zucchero, Francesco Guccini, Manuel Agnelli, Ligabue, Gianna Nannini, solo per fare qualche nome. Insieme a lui ci saranno Mario Arcari, Eros Cristiani, Giovanni “Joe” Damiani, l’albese Walter Porro, Max Gelsial basso, Claudio Dadone e le coriste Badara Seck ed Elena Nulchis.

«Ho approfittato dell’anniversario per rivisitare alcuni brani di Crêuza de mä e, già che c’ero, altri pezzi storici della mia carriera» spiega Pagani.

Quale fu la genesi del disco?

«Io e Fabrizio ci conoscemmo nello studio di registrazione del Castello di Carimate. Stavo lavorando alla colonna sonora di Sogno di una notte di mezza estate di Gabriele Salvatores mentre lui stava registrando il disco Fabrizio De André, caratterizzato dalla copertina con l’indiano. Era il 1981 e, nelle pause, ci parlavamo e diventammo amici. Fabrizio capì che la Pfm aveva riempito le canzoni di violini, bandole, mandolini. Si rese conto che bastavo io a suonare molti di questi strumenti e, da bravo genovese, mi assunse e iniziai a lavorare per lui durante la tournée. Mi ero un po’ stufato del rock e avevo comprato diverse musicassette di suoni dal Mediterraneo, appassionandomi dello stile. Gli proposi di incidere un lavoro simile, accettò ed ebbe la grande intuizione di scrivere i testi in genovese».

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Nella vita di tutti i giorni com’era De André?

«Era un uomo di rara intelligenza e senso dell’umorismo. Possedeva alcune debolezze e fragilità e a volte era un po’ cupo. Aveva poca voglia di lavorare, diversamente sarebbe stato un grande produttore musicale. Era dotato di buon gusto, si interessava ai progetti ma dopo un po’ mollava tutto. La sua principale passione era la lettura. Mi manca ancora molto».

Per quale motivo lasciò la Pfm?

«Il rock progressivo era meraviglioso, ci ha permesso di interessarci, oltre al rock blues, che è all’origine di tutto, alla musica classica, sinfonica e lirica. Le nostri fonti di ispirazione si sono allargate, sono sorti gruppi fantastici come i Genesis. Poi, a un certo punto, questo fiume in piena si è fermato. Mi piace dire che il prog si è suicidato per eccesso di note. Suonavamo sempre assoli enormi, eravamo incapaci di trattenerci. E ho iniziato a non sopportarlo più. Contemporaneamente, ho subito il fascino della musica dal mondo, la sentivo viva e piena di energia. Negli ultimi anni con la Pfm lavoravo già a miei progetti, mentre loro erano fermi a un tipo di musica che mi piaceva sempre meno».  

Davide Barile

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