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1994-2024 / L’ospedale San Lazzaro di Alba che riuscì a resistere

Il San Lazzaro si ritrovò privo d’acqua, calore ed energia: con una serie di intuizioni, tornò a essere autonomo in tempi record e a garantire tutti i servizi fondamentali

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Foto Marcato

SANITÀ Gli uffici del Servizio di igiene pubblica dell’allora Asl 65 – l’azienda sanitaria Cn2, per Alba e Bra, non esisteva ancora – nel 1994 erano nella zona dell’ex mattatoio, lungo la Cherasca.

È qui che, la mattina di sabato 5 novembre, l’allora direttore Francesco Morabito si ritrovò a guardare il torrente spaventosamente ingrossato. Insieme a lui, l’amministratore straordinario, Giovanni Monchiero.

«Era enorme. E soprattutto scorreva in maniera tumultuosa, trasportando tronchi di alberi e detriti, che sbattevano uno contro l’altro. Il rumore era fortissimo e ricordo ancora l’odore di terra che entrava nelle narici», dice oggi Morabito.

Non c’era alcuna allerta. Eppure era evidente che la situazione era già molto preoccupante. «Mi recai subito in auto verso Corneliano, dove insegnava mia moglie, per riportarla ad Alba. Arrivare nel Roero fu molto difficile: a Scaparoni, i campi erano già allagati e ovunque i fossi erano pieni d’acqua. Arrivato a scuola, diedi disposizione di interrompere le lezioni e di mandare a casa tutti».

Foto Marcato

Il disastro avvenne dalla serata. Monchiero, tornato a Canale, ricevette una telefonata al mattino del 6 novembre: «Mi dissero che la situazione era drammatica. In tempo zero, salii in auto. Nella Sinistra Tanaro, i danni erano stati più contenuti. Ma, man mano che mi avvicinavo alla città, gli effetti dell’alluvione della notte erano sempre più devastanti. Con grande fatica, riuscii a raggiungere il San Lazzaro, che per fortuna sorge in una zona rialzata», ricorda il commissario, che diventerà a più riprese anche direttore dell’azienda sanitaria, così come Morabito. Nonostante la posizione, i locali interrati e seminterrati erano stati allagati, con la conseguente sospensione dell’acqua, del calore e dell’energia.

Monchiero prosegue: «Ci trovammo da subito di fronte a un’emergenza drammatica: dare risposte ai tanti familiari dei dispersi, che si erano precipitati in ospedale. Ma, in quei momenti concitati, nessuno riusciva a fornirci aggiornamenti. C’era poi l’intero nosocomio, pieno di pazienti, che dovevamo cercare di fare funzionare: uno sgombero, con le reti telefoniche saltate, nel frattempo, e con i pochi mezzi disponibili, era da evitare a qualsiasi costo. L’acqua, in particolare, era essenziale: oltre a tutti i servizi, dovevamo garantire la dialisi».

È stato in quel momento che, nella mente di Monchiero, si accese una lampadina: «Mi resi conto che l’unico acquedotto funzionante era quello del Roero: il paese che riforniva, più vicino ad Alba, era Corneliano. Contattai una ditta della zona, che si occupava di grandi trasporti liquidi: misero a disposizione diverse autocisterne che, facendo la spola tra la Sinistra Tanaro e via Pietrino Belli, riuscirono a portarci l’acqua in tempi molto rapidi».

L’energia elettrica venne ripristinata con gruppi elettrogeni e il calore da una caldaia di riserva: «Il direttore dell’ufficio tecnico, il signor Gaudino, in modo lungimirante controllava periodicamente il funzionamento di questi dispositivi, per eventuali emergenze. Il risultato fu che, tra la domenica e il lunedì, eravamo autosufficienti, un grande risultato: quando il sindaco Enzo Demaria mi chiamò, gli dissi che ce l’avevamo fatta ad andare avanti e che tutti i servizi erano garantiti a pieno regime, grazie a uno straordinario lavoro di squadra».

Francesca Pinaffo

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