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I tre caporali della Langa hanno patteggiato

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IN TRIBUNALE Il 10 luglio l’operazione Iron rod condotta dalla Squadra mobile della Procura di Asti aveva svelato la presenza del caporalato nelle Langhe e nei mesi successivi i tre responsabili diventati noti come “caporali” facevano il loro ingresso nelle aule del palazzo di giustizia di Asti.

Per i tre, che avevano chiesto all’unisono di patteggiare, è arrivata nei giorni scorsi la sentenza davanti alla giudice Claudia Beconi.

A.N. classe 1985 originario del Marocco e domiciliato a Novello diventato noto alle cronache per la sua presenza nel video reso pubblico dalle Forze dell’ordine con in mano un frustino, ha patteggiato 10 mesi di reclusione e 2mila euro di multa. Per lui, difeso dall’avvocato del foro di Asti Roberto Ponzio e, gravato da una recente condanna per rapina impropria, è stata disposta la sostituzione dei 10 mesi di reclusione con 600 ore di lavori di pubblica utilità nel Comune di Novello.

Con lui alla sbarra anche G.D. classe 1981 macedone e residente a Mango, difeso dall’avvocato Alessio Tartaglini (del foro di Torino), ha patteggiato 1 anno di reclusione e 700 euro di multa con la sospensione condizionale della pena e il dissequestro della parte residenziale della propria abitazione; e L.M. classe 1976 albanese. Quest’ultimo residente ad Alba e difeso dall’avvocata del foro di Cuneo Daniela Altare, ha patteggiato 8 mesi e 2mila euro di multa con sospensione condizionale della pena.

La sentenza è arrivata nella mattina di martedì 12 novembre dopo aver accolto le proposte di patteggiamento mosse dai difensori con il consenso del Pm Stefano Cotti. I caporali erano accusati di aver reclutato lavoratori approfittando dello stato di bisogno dei braccianti (prevalentemente di origine africana e in gran parte irregolari sul territorio nazionale), che retribuivano con circa sei euro l’ora.

Con la sentenza di condanna il Tribunale ha disposto anche la confisca di circa 16mila euro in contanti trovati in possesso di G.D., di 800 euro nella disposizione di A.N. e delle 5 autovetture che secondo gli inquirenti erano servite per accompagnare i braccianti al lavoro.

Si conclude così «una vicenda processuale che ha avuto una larga esposizione mediatica che però suggerisce amare considerazioni finali», commenta Ponzio.

«Il triste fenomeno dell’intermediazione illegale nello sfruttamento lavorativo in agricoltura, tra l’altro in crescita costante, non lo si risolve con la condanna di due o tre “caporali”, ma occorrono significative riforme al quadro normativo penale. Non si comprende per esempio per quale motivo in questa situazione dove si parla di sotto retribuzione lo Stato debba lucrare parlando di netto o lordo e non di una somma che vada a beneficio di questi lavoratori», aggiunge.

 Elisa Rossanino

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