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Ad Alba la prima assemblea di Confcooperative Piemonte Sud: una realtà da 402 associate e 60mila soci

È stata l'occasione per l’ente di condividere con il pubblico un bilancio sul primo anno di vita e sulle sfide future. Ne abbiamo parlato con il vicepresidente in carica, Alessandro Durando

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ALBA  La sezione Piemonte Sud di Confcooperative si è riunita per la prima volta, il 25 febbraio, ad Alba. 

L’assemblea ha visto la partecipazione di numerosi esponenti del mondo istituzionale ed economico. Tra gli ospiti intervenuti, il Presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, l’Assessore alla Montagna, Marco Gallo, e il Sindaco di Alba, Alberto Gatto, che ha sottolineato il valore delle cooperative nella gestione e nella valorizzazione dei beni culturali. Presenti anche Marco Brunetti, Vescovo di Alba, che ha ricordato il ruolo sociale della cooperazione, e i presidenti delle Camere di Commercio di Asti-Alessandria e Cuneo, Gian Paolo Coscia e Luca Crosetto, che hanno evidenziato l’importanza degli investimenti in infrastrutture, digitalizzazione e credito cooperativo.

Sono intervenuti anche il Vicesindaco di Cuneo, Luca Serale, e la Vicepresidente dell’ANCI Piemonte, Francesca Delmastro, che hanno evidenziato l’esigenza di una maggiore collaborazione tra pubblico e privato nel settore sociale.

È stata l’occasione per l’ente di condividere con il pubblico un bilancio sul primo anno di vita e sulle sfide future. Ne abbiamo parlato con il vicepresidente in carica, Alessandro Durando.

Quanto è grande il mondo di Confcooperative Piemonte Sud, Durando?

«Oggi contiamo 402 associate, per un totale di circa 60mila soci, 15mila occupati e un fatturato di 1,6 milioni di euro. Per quanto riguarda le banche del credito cooperativo, contiamo 9 associate (con 140mila soci), 1.300 occupati e una raccolta diretta di 12 miliardi di euro».

Una delle aree di centrale importanza per il territorio è quella agricola: quali sfide bisogna affrontare?

«L’agricoltura riesce a reggere e molti settori, come quello vinicolo, continuano a crescere. I cambiamenti climatici e la sfida della sostenibilità mettono in pericolo soprattutto il comparto della nocciola e quello del miele. Le api sono messe a dura prova dalla concorrenza cinese, dall’utilizzo di fitofarmaci e da condizioni ambientali che mutano in modo repentino. Molti impollinatori muoiono, a causa della combinazione di questi fattori. Per quanto riguarda il settore corilicolo, fanno riferimento al nostro ente diverse cooperative, che aggregano circa mille aziende. Il nostro ruolo è quello di affiancare queste realtà nella valorizzazione e nella commercializzazione dei prodotti».

Sempre in tema agricolo, c’è la questione della manodopera straniera, che sovente vive delle situazioni di sfruttamento: come vi ponete come ente?

«Non mancano le situazioni di irregolarità, ma su tutto il territorio si stanno muovendo forze virtuose, con azioni di sistema capaci di contrastare e prevenire questi gravi fenomeni. Pensiamo all’impegno del consorzio di tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, che ha avviato uno studio mirato, o a progetti regionali come il “Common ground”, senza dimenticare le iniziative di imprese sociali, cooperative e associazioni del territorio. La sensibilità e la consapevolezza per fortuna stanno crescendo: siamo fiduciosi per il futuro».

Come stanno le cooperative del comparto sociale, che di recente hanno firmato un adeguamento del contratto lavorativo?

«Il miglioramento del contratto è un riconoscimento effettivo del lavoro che svolgono, improntato sulla cura. Ma il costo del lavoro nel frattempo è aumentato tra il 12 e il 15 per cento. A oggi queste spese aggiuntive non hanno incontrato un sufficiente adeguamento delle tariffe da parte degli enti pubblici, a differenza di ciò che è accaduto in altre regioni. È stato costituito un tavolo di confronto e siglato il cosiddetto “patto del welfare” per riuscire a monitorare e garantire un maggior equilibrio, ma questo strumento stenta a fornire risposte precise. Le sfide restano molte per un comparto cruciale per il vivere collettivo».

 Stefano Mo

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