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Coldiretti / «Vino dealcolato? Si definisca bevanda d’uva»

Coldiretti / «Vino dealcolato? Si definisca bevanda d’uva»

AGRICOLTURA «Vino dealcolato? Si definisca bevanda d’uva». A fare il punto su questo prodotto è la Coldiretti provinciale di Asti, che esprime una serie di riflessioni.

Rispetto a questo tema scottante l’organizzazione agricola non si dichiara contraria tout court, ma ritiene fondamentale e doveroso che si faccia chiarezza in termini di identità e differenze, a partire dalla definizione. Il presidente di Coldiretti Asti Monica Monticone commenta: «Nei millenni, il vino si è evoluto e perfezionato grazie a vignaioli ed enologi illuminati, ma pur sempre nel rispetto della sua struttura. Se oggi, per ragioni diverse, una piccola fascia di mercato chiede un vino privo di alcol, non siamo contrari, purché non si crei confusione: il vino è alcolico per naturale effetto della fermentazione; il resto è un’altra cosa

A spiegare come avviene il processo di dealcolazione è il vigneron e vicepresidente di Coldiretti Asti Gianfranco Torelli: «Completato il naturale processo di fermentazione, il vino viene privato di alcol attraverso tecniche di evaporazione sottovuoto, oppure per osmosi inversa e filtrazione. Si ottiene così una bevanda secca, inevitabilmente squilibrata al gusto e all’olfatto. Una bevanda d’uva che non ha le caratteristiche del vino e che, senza conservanti e proprio in quanto priva di alcol, ha brevissima durata».

Il mercato cosa chiede?

Torelli afferma: «Seppur molto contenuta, c’è una domanda crescente per quello che viene erroneamente chiamato vino dealcolato. L’interesse concreto, però, resta sulle grandi Doc e Docg italiane, tra le quali spiccano quelle astigiane. Non dimentichiamo, inoltre, che la dealcolazione è un processo industriale molto costoso ed energivoro, in contrasto con la sostenibilità ambientale, economica e sociale, che ci stanno a cuore».

Il direttore di Coldiretti Asti Giovanni Rosso aggiunge: «Comprendiamo la necessità di contemplare “scenari” nuovi rispetto al prodotto dell’uva, soddisfacendo culture, religioni e opinioni diverse, ma non chiamiamoli vino e, soprattutto, non rientrino nel prezioso patrimonio delle denominazioni d’origine italiane». Rosso conclude: «Occorre tutelare produttori, produzioni e consumatori, evitando che si faccia confusione e che si crei qualcosa di distorto nell’immaginario comune. Garantiamo la natura, l’identità, le caratteristiche e la dignità del vino, fiduciosi del fatto che i veri intenditori amino gli originali».

Manuela Zoccola

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