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Piemonte in etichetta, idea che sa di patacca

vino calice sommelier

ENOLOGIA I produttori vitivinicoli sanno da tempo che il marchio Piemonte è da valorizzare. Renato Ratti lo sosteneva con forza già negli anni Ottanta. Ma siamo sicuri che per valorizzare i vini del Piemonte la strada giusta sia riportarne il nome sulle etichette di tutti i vini affiancandolo alla singola denominazione?

Dell’operazione si sta parlando (in modo neanche troppo convinto) in sede istituzionale. I produttori sembrano pensare di più ad altri problemi, ben più critici, come gli effetti negativi delle regole e soprattutto delle pesanti sanzioni del nuovo Codice della strada, che stanno rallentando in modo drammatico il mercato del vino, in contemporanea con la stasi che sta interessando i mercati stranieri. Il nocciolo della questione, a quanto pare, è che alla base del progetto regionale ci sarebbe la volontà di portare blasone e percezione qualitativa al vino piemontese sul mercato. L’idea sarebbe di indicare sulle etichette il termine Piemonte. Le ipotesi sono diverse: c’è chi vorrebbe un bollino con la scritta Piemonte sullo stile dei vecchi marchi dei consorzi di tutela recuperando quella mania per la patacca che sembrava definitivamente accantonata; altri penserebbero a una Menzione geografica aggiuntiva (Mega) allargata all’intero Piemonte.

L’idea dei favorevoli: i vini piemontesi valutati come prodotti di qualità e prestigio alla pari di quelli di altre regioni italiane (Toscana) o estere (Borgogna o Bordeaux) sono pochi. Ma è una percezione non veritiera, visto il numero di Barbaresco, Barolo e altri presenti nelle più qualificate classifiche dei vini eccelsi a livello mondiale. Forse, per farla semplice, la percezione di scarso prestigio riguarda zone o denominazioni che non possiedono presupposti per ambire a riconoscimenti autorevoli.

Dal dire al fare. Viene da chiedersi perché – per innalzare la percezione qualitativa di denominazioni “minori” – si debba mettere in pista un meccanismo burocratico impegnativo e farraginoso. Da un lato, l’ipotesi di un “bollino Piemonte” è esclusa a priori dalle norme sulla designazione e presentazione dei vini. L’inserimento in etichetta di una Menzione geografica aggiuntiva allargata al Piemonte, dall’altro canto, richiederebbe la modifica dei disciplinari di tutte le Doc e le Docg piemontesi, con il rischio di ricevere il rifiuto delle realtà più prestigiose.

Ma, pur ammettendo che tutte le denominazioni condividano il progetto, chi potrà obbligare il singolo produttore a riportare in un’etichetta – già densa di prescrizioni di legge di altro tipo – la menzione geografica Piemonte visto che le menzioni in genere sono facoltative?

E c’è un altro fattore da considerare: le norme sui vini di qualità hanno ispirato nel tempo, zona per zona, regione per regione, la “piramide della qualità”, con alla base i generici, seguiti sul gradino appena sopra dai vini Igt, poi dai Doc e dai Docg, con ulteriori balzi di prestigio determinati, per l’origine, dalle indicazioni di sottozona, dalla Mega, dall’indicazione di vigna e, per il tipo, di superiore e riserva. E allora perché il Piemonte – che si è sempre battuto per regole che premiassero rigore, qualità e prestigio – dovrebbe riportare in etichetta il riferimento regionale con il rischio di appiattire produzione e identità?

Sempre ammesso che il Piemonte riesca a essere identificabile ovunque. Qualche anno fa, durante un viaggio in Cina, mi capitò di vedere il manifesto di una degustazione: per indicare dove si trovasse il Piemonte era stato scritto «near the France».

Giancarlo Montaldo

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