
IMBOTTIGLIAMENTO Se per quasi tutte le bevande, alcoliche e no, il tappo a vite rappresenta spesso l’opzione principale, per il vino, nonostante l’evoluzione della tecnica, le resistenze verso questo tipo di chiusura sono ancora forti, soprattutto nel nostro Paese.
Abbiamo sentito in passato opinioni favorevoli verso il tappo a vite da parte di nomi di peso del panorama vitivinicolo. Ma ora torniamo sul- l’argomento con un professionista giovane. Leonardo Berbotto, classe 1999, a dispetto della giovane età ha già maturato diverse esperienze: diplomato all’Enologica di Alba, si è laureato in agraria ed enologia. Lavora per la Cantina del Nebbiolo di Vezza dal 2021; cura le analisi di laboratorio e gli è stata affidata la gestione della cantina.
«Abbiamo iniziato a imbottigliare con il tappo a vite l’annata 2022 del Sauvignon. È un vino bianco e fresco da bere giovane, si presta molto bene a questo sistema: con il tappo a vite si crea un ambiente più riduttivo, ossia con la presenza di meno ossigeno, e si sviluppano aromi più intensi. Tale situazione ha il pregio di consentirci pure di usare meno solfiti per la conservazione», spiega il tecnico.
Oggi, tutto il Sauvignon della Cantina del Nebbiolo «è imbottigliato così. Ne facciamo circa cinquemila bottiglie, dopo un primo anno di choc i clienti si sono abituati e ora lo acquistano senza problemi. Se si volesse fare un paragone, è un discorso analogo all’auto elettrica». Consci dei problemi che potrebbero sorgere sul mercato, su altri vini la sperimentazione è stata avviata soltanto per le partite destinate all’estero.

Prosegue Berbotto: «Dal 2022 abbiamo iniziato a usare il tappo a vite per una parte del Nebbiolo. Gli italiani continuano ad associare inconsciamente il tappo a vite a una scarsa qualità. In realtà, occorre sfatare un mito: di tappi a vite ne esistono vari tipi. L’involucro di alluminio è sempre uguale, ma la membrana interna può far circolare più o meno ossigeno. A seconda del risultato che si vuole ottenere, si instillano determinate quantità di gas inerti come l’azoto».
Per il Nebbiolo, «il tappo a vite consente di controllare il processo ossidativo e, dopo due o tre mesi, abbiamo notato che il vino risulta più completo, fresco e non particolarmente tannico».
Al momento, per i vini da invecchiamento come Barolo e Barbaresco l’uso del tappo a vite – escluso comunque dai disciplinari, dei vini citati, ma anche, per esempio, di Roero e Nebbiolo d’Alba – sarebbe «più complicato, anche se possibile, in teoria, con alcuni accorgimenti». Ma questa chiusura ha inoltre un costo di molto inferiore rispetto al tradizionale sughero, anche nella versione agglomerata.
Come riferisce l’enotecnico, «a seconda dell’obiettivo enologico che ci si pone si userà un tappo o un altro. Con quelli a vite, comunque, rispetto al sughero si risparmia molto: per fare un raffronto, i primi costano dieci o venti centesimi l’uno, i secondi almeno sessanta. In più, usando i tappi di sughero si sa che una percentuale dall’uno al due per cento delle bottiglie avrà sentore di tappo. Su grandi commesse, la quantità diventa significativa. Altro vantaggio del tappo a vite riguarda la logistica: le bottiglie si possono conservare in qualsiasi posizione, mentre con il sughero il liquido deve stare a contatto con il tappo per evitare che secchi».
Altra opzione in commercio sono i tappi di sughero tecnici, «sono producibili in serie con la possibilità di far passare più o meno ossigeno, ma il problema resta il costo. E il tappo a vite continua a essere preferibile per la conservazione del vino dopo l’apertura. Lo sanno bene soprattutto ristoratori e baristi».
La resistenza culturale degli italiani sembra stia venendo meno con i giovani, «più propensi all’utilizzo soprattutto per il minore impatto sull’ambiente. Il sughero proviene da coltivazioni intensive ed è più difficilmente riciclabile».
Dopo Sauvignon e Nebbiolo, alla cantina cooperativa vezzese «abbiamo iniziato la sperimentazione con i tappi a vite per il Barbera. Per ora, ci è stata richiesta una partita da un cliente belga. Pure in questo caso, i risultati sono promettenti, occorre soltanto porre un’attenzione maggiore a bilanciare correttamente solforosa e ossigeno per limitare la riduzione. Ne scaturisce un vino con sentori di mora e lamponi».
Le tappatrici per il tappo a vite «sono moduli che montiamo sulle nostre riempitrici della Gai. Un passaggio delicato riguarda la filettatura. I tappi arrivano senza e a imprimerla è il macchinario: è con questo processo che si determina una giusta chiusura».
Davide Barile
