
ECONOMIA «Le mie politiche non cambieranno»: Donald Trump è stato chiaro fin dai momenti successivi a quello che è stato rinominato il liberation day, lo scorso 2 aprile, il giorno della liberazione dai Paesi che fino a oggi hanno, nella sua visione, «derubato e maltrattato gli Stati Uniti».
Dal giardino delle rose della Casa bianca, ha rilanciato il suo sogno americano, una guerra commerciale su scala globale, che si è concretizzata in dazi al 10% per tutti gli Stati, più alti per i 60 più “cattivi”. Per l’Unione europea si sale al 20%, per il Giappone al 24%, per l’India al 26%, per la Cina al 34% e così via, fino ai casi più estremi, come il 46% previsto per il Vietnam. Londra se la cava tutto sommato meglio dei vicini, con il 10%.
Un discorso a parte riguarda le auto: per qualsiasi mezzo prodotto all’estero e introdotto per la vendita negli Stati Uniti, il dazio è del 25%, entrato in vigore dal 3 aprile. Per gli altri è previsto un calendario a scaglioni: il 10% generale è scattato dal 5 aprile e le tariffe più elevate saranno effettive da oggi, mercoledì 9 aprile. È quest’ultima la data chiave per l’Unione europea.
I possibili effetti sul mercato interno e sui consumatori americani
Ma quali saranno, in concreto, gli effetti di questa nuova normativa? Le conseguenze, sui consumatori americani, potrebbero non vedersi nell’immediato. L’importatore si troverà di fronte a un bivio: potrà decidere di sostenere il costo aggiuntivo oppure scaricarlo sul prezzo finale, che sarà più elevato. Le aziende italiane dovranno decidere come comportarsi: i possibili rincari spaventano – si parla anche di un eventuale aumento dei prezzi in casa, per compensare le perdite oltreoceano –, così come apre scenari cupi la sostituzione dei prodotti penalizzati dai dazi con i loro concorrenti americani, che saranno venduti a costi di certo inferiori. È il made in Usa di Trump, una sciagura per un Paese come l’Italia, il primo esportatore europeo verso gli Stati Uniti, con un valore di oltre 67 miliardi di euro.
I settori interessati sono numerosi: si va dalla moda all’automotive, per arrivare all’agroalimentare, con prodotti cardine come il formaggio, l’olio, la pasta e il vino. E con marchi d’eccellenza, dal caso del Parmigiano reggiano alle bottiglie prodotte sulle colline di Langa.
Cuneo e le esportazioni agroalimentari
Secondo un’indagine sviluppata da Cia agricoltori su dati Istat, la provincia di Cuneo è la terza più esposta in Italia per le esportazioni agroalimentari verso gli Usa: sono stati sfiorati i 400 milioni di euro nel 2024, con al centro proprio il comparto enologico. Per Coldiretti Cuneo, l’onda è più lunga, dai prodotti che non troveranno sbocchi in altri mercati a costi più elevati per lo stoccaggio, vista la deperibilità dell’alimentare. A un livello ancora superiore, si teme di perdere posizioni su scaffali conquistati nel corso degli ultimi decenni.
E mentre l’Europa si interroga sui controdazi – la Cina li ha già annunciati al 34% –, si vedono i primi effetti sull’economia. La Banca d’Italia, a pochi giorni dall’annuncio di Trump, ha tagliato le stime sul Pil (prodotto interno lordo) del nostro Paese: il +0,8% previsto a dicembre per il 2025 è stato rivisto al +0,6%. Anche le previsioni per il 2026 sono state ricalcolate al ribasso, dal +1,1% al +0,8%, con una tendenza meno rosea che riguarderà anche il 2027, secondo le stime attuali.
Trump, dal canto suo, non si ferma: i prossimi dazi riguarderanno la farmaceutica.
Gli effetti sulla Borsa
Nel frattempo, con l’ingresso dell’ultima tornata di dazi, oggi le Borse si sono aperte al ribasso: a Piazza Affari l’indice Ftse Mib segna -2,3% a 32.891,26 punti.
Francesca Pinaffo