
LETTERATURA Realismo magico, fantascienza, post-modernismo: è difficile trovare una casella per il nuovo romanzo dell’astigiano Gian Marco Griffi. Di certo c’è che in quest’opera, pubblicata da Einaudi stile libero dopo il successo di Ferrovie del Messico, troviamo di tutto: dal fascismo al golf, dai mariachi ai mappamondi, dall’«anno senza estate» alla (mancata) fucilazione di Mussolini.
Digressione è un libro-fiume che mette al centro un’Asti ucronica del 2013, in cui sono tollerati rievocatori littori e partiti fascisti dopo che il Duce è stato graziato e mandato in esilio a Pantelleria ad allevare asini.
Qui si muove Arturo Saragat, un adolescente morso dal senso di colpa per un episodio di bullismo, che viene a contatto con l’altro grande protagonista, l’Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México, volume tanto cercato da Cesco Magetti nel romanzo precedente e di cui ora si raccontano le vicende dei tanti possessori tra Italia e America latina.
Le prossime presentazioni saranno ad Asti mercoledì 18 giugno alle 21.15 al circolo Way assauto e a Santo Stefano Belbo, durante il Pavese festival, venerdì 27 giugno alle 17.30 nella chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo.
Come è nato Digressione?
«Questo libro è una cosa a cui ho pensato per un anno e mezzo, anzi un paio d’anni, senza mai riuscire a buttare giù qualcosa. Alla fine, quando mi sono messo alle strette, dicendo sì a Einaudi per uscire il 3 giugno, è venuto fuori. In realtà, non è una digressione vera, perché tutte quelle presenti sono talmente concatenate che costruiscono esattamente la narrazione del romanzo, il suo cuore, ed è come se si annullassero».
Quali sono i luoghi di cui si racconta nel romanzo, oltre ad Asti?
«C’è davvero il Messico. E in più, c’è l’elemento di Pantelleria che, insieme a Roghudi Vecchio, diventerà fondamentale nel finale».
Nel suo presente ci sono rievocatori littori che si divertono a umiliare cittadini e a picchiarli con baccalà. Come voleva rappresentare il Ventennio?
«Tutte le parti del fascismo sono ambientate nell’Italia contemporanea. Non c’è niente di ironico, semmai c’è del tragico. Io credo fermamente che se metà degli italiani potessero indossare una fascia e andare a manganellare le persone lo farebbero. È ovvio che rivesto il tutto con il mio modo di scrivere, spesso improntato sul sarcasmo, ma non c’entra nulla il Ventennio reale. Questa è l’Italia di Arturo del 2013 in cui il fascismo è normale: è un mondo in cui un partito suprematista bianco può quasi avere il consenso per andare al Governo e un sindaco di Asti può far parte di quella fazione».
Nei suoi libri sono spesso presenti sensitivi e oracoli. Per lei lo scrittore ha un ruolo simile?
«Io penso che lo scrittore sia uno che costruisce un mondo che non esiste, imbrogliando un po’ tutti. Certo, lo fa in modo sano, indirizzando l’inganno per raccontare una parte del mondo com’è secondo lui. Credo che ci sia una corrispondenza tra la chiaroveggenza e l’inventare storie, anche se l’obiettivo per un autore di romanzi è di indagare la realtà».
Lorenzo Germano
