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La bonifica dell’Acna di Cengio è costata 489 milioni

Il sito Acna in pole position per la realizzazione del carcere

VALLE BORMIDA Come sempre, sono i numeri a rendere l’idea di ciò che è stata (e di ciò che è ancora) la bonifica del sito Acna. Da qualche giorno, sul sito di Eni Rewind, la società del colosso chimico che gestisce le aree industriali dismesse, sono disponibili i dati aggiornati a fine 2024. I costi sostenuti per la bonifica sino alla fine dello scorso anno ammontano a 489 milioni di euro, somma superiore ai 424 milioni indicati da Pier Giorgio Giacchino in un’intervista rilasciata a Gazzetta d’Alba nel mesi scorsi. Un anno fa, di questi tempi, Eni Rewind indicò di aver speso (a fine 2023) 387 milioni per la bonifica. Ciò significa che lo scorso anno sono stati spesi ancora 102 milioni.

Sempre secondo i dati ufficiali della proprietà, i costi di gestione annuali del sito ammontano a quattro milioni di euro. Anche i numeri relativi alla quantità di acque trattate dal depuratore sono imponenti. Lo scorso anno sono stati trattati 984.973 metri cubi di acqua, di più rispetto all’anno precedente.

Pare difficile, di fronte a dati del genere, pensare in tempi brevi a un riutilizzo del sito con nuovi insediamenti. E per ora sembra anche sospeso il discorso del termovalorizzatore di rifiuti che la Regione Liguria intende realizzare, dal momento che la scadenza di fine maggio per avviare l’iter non è stata rispettata. La mobilitazione contro l’impianto, in ogni caso, sta proseguendo e domani, mercoledì 2, a Cairo Montenotte (uno dei centri, assieme a Cengio, candidati a ospitare l’inceneritore) è in programma un incontro pubblico convocato da numerose associazioni ambientaliste.

Sulla possibilità di accogliere il termovalorizzatore nell’ex Acna, il sindaco di Cengio Francesco Dotta, interpellato la scorsa settimana, ha ribadito di essere contrario, mentre ha confermato i contatti tra Eni Rewind e la società Idroenergia di Costigliole d’Asti per realizzare un parco fotovoltaico da 10 megawatt tra l’area A1 (quella che accoglieva i lagoons e che è stata riempita da terreni contaminati provenienti dalle opere di bonifica) e la zona A4, ossia l’ex discarica di Pian Rocchetta, a valle dello stabilimento, in parte in territorio piemontese nel comune di Saliceto.

L’area interessata sarebbe di circa ventisette ettari. «Non c’è ancora nulla di ufficiale, ma sappiamo di contatti in fase avanzata tra l’Eni e la società astigiana», spiega il sindaco di Cengio. La notizia era trapelata a maggio. Nell’occasione avevamo interpellato Eni Rewind e Idroenergia. La proprietà del sito aveva fatto sapere di non voler rilasciare commenti, mentre l’azienda di Costigliole, a una nostra e-mail del 30 maggio per avere informazioni, non ha ancora risposto e anche numerose telefonate nelle settimane successive non hanno avuto esito.

 Corrado Olocco

L'INCHIESTA / Acna di Cengio, la bonifica che non c’è 1

Da Piacenza e Cesano Maderno arrivano storie simili a quelle della fabbrica ligure

CURIOSITÀ Anche se l’Acna di Cengio, chiusa nel 1999, è quella più conosciuta a livello nazionale e internazionale, esistevano in Italia anche altre aziende “gemelle”, la cui storia si è chiusa prima di quella dello stabilimento savonese. Nei giorni scorsi, un articolo uscito sulla versione on-line del quotidiano Libertà, di Piacenza, annunciava l’avvio dei lavori di bonifica dell’area ex Acna della città emiliana, intervento finanziato con poco più di nove milioni di euro di fondi del Pnrr destinati ai cosiddetti “siti orfani”, aree contaminate per le quali non è possibile identificare un responsabile, oppure non esiste più o, in ogni caso, non è in grado di sostenere i costi.

A Piacenza, i lavori, gestiti dal Comune, termineranno entro marzo 2026. La successiva fase di riqualificazione prevede spazi verdi e un parcheggio da 300 posti auto. Il progetto dovrà considerare anche le indicazioni della Soprintendenza, legate al rispetto del vincolo sulle mura storiche, poiché l’azienda era vicina al centro cittadino.

L’Acna piacentina produceva vernici e occupava un’area di circa 40mila metri quadrati. Gli impianti per la produzione sono stati smantellati da tempo. La fabbrica, chiusa all’inizio degli Anni ’80, nacque nel 1924 come Iac (Industria applicazioni chimiche) per produrre coloranti nel settore laniero. Nel 1965 viene rilevata dalla Montedison diventando Acna (Azienda coloranti nazionali e affini, stesso acronimo di quella di Cengio). È arrivata a occupare fino a 140 persone e, alla chiusura, aveva 75 dipendenti.

Un’altra Acna era a Cesano Maderno, nell’hinterland di Milano. Sorta nel 1908, era una fabbrica più simile, per produzione e dimensioni, a quella di Cengio. È stata chiusa nel 1983. Nel 1971 aveva 400 operai. L’azienda lombarda (come quella di Cengio) divenne tristemente nota per le produzioni di ammine aromatiche, che causarono il cancro alla vescica a molti lavoratori. Si parla di oltre trecento vittime tra gli anni Sessanta e Settanta, ma l’attenzione sul problema passò quasi in secondo piano dopo la tragedia di Seveso.

La superficie dello stabilimento coinvolgeva i territori dei Comuni di Cesano Maderno, Bovisio Masciago e Cenano Laghetto. Vi si producevano, come a Cengio, sostanze utilizzate per realizzare coloranti di ogni tipo, soprattutto per metalli e plastiche. L’area è stata bonificata e ospita altre aziende che si sono accollate gran parte dei costi di bonifica. Trattandosi di interventi di qualche anno fa, i costi sono ancora espressi in lire e superano i 150 miliardi.

c.o.

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