
Walter Colombo, inviato a Venezia
MOSTRA DEL CINEMA – Come sta il comparto dell’industria del cinema? A questa domanda risponde in un’intervista la sottosegretaria della cultura Lucia Borgonzoni: «12 miliardi di ricavi e 124mila occupati dal mercato dell’audiovisivo». I lavoratori impiegati nella produzione fisica di prodotti audiovisivi realizzati in Italia sono aumentati del 36%, così come le giornate di lavoro retribuite. Entro il 2026 Cinecittà sarà l’hub produttivo più grande d’Europa, lo conferma l’amministratore delegato di Cinecittà Emanuela Cacciamani, con i suoi 25 teatri di posa, due dei quali saranno i più grandi del continente con i loro 3.600 metri quadri per 25 metri d’altezza. «In questo momento il 70% degli introiti di Cinecittà vengono da produzioni internazionali, il 20% da quelle italiani e il restante dagli eventi, che ho voluto potenziare», dichiara Cacciamani.
I film in concorso
La regista Valérie Donzelli sbarca al Lido col suo settimo film, À pied d’œuvre, segnando il suo esordio in concorso. Tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Franck Courtes, grande successo editoriale in Francia, inedito in Italia, racconta la parabola di un fotografo affermato che decide di abbandonare tutto per dedicarsi alla scrittura. Una scelta radicale, che lo porta a perdere le sue certezze, a scoprire la povertà e a sopravvivere con lavori occasionali, spesso umilianti.

«À pied d’œuvre è il ritratto di un uomo che si lascia alle spalle una vita agiata per dedicarsi alla scrittura, scivolando infine nella precarietà. Questa scelta radicale e profondamente personale mi ha molto toccata. Volevo rimanere fedele all’onestà del suo percorso, alla sua semplicità e disciplina. Insieme a Gilles Marchand abbiamo scritto un personaggio onesto, gentile e determinato. Bastien Bouillon è stata presto una scelta ovvia, con la sua forza pacata e la sua presenza discreta», dichiara la regista. Questo film si interroga sul valore che diamo a una vita guidata da una passione silenziosa, poco spettacolare, ma inarrestabile: il bisogno di creare, qualunque cosa accada.
Il regista coreano Park Chan-wook porta a Venezia il suo film in concorso No other choice, Man-su, specialista nella produzione di carta con venticinque anni di esperienza, è così soddisfatto della vita da potersi dire sinceramente: «Ho tutto». Trascorre felicemente le sue giornate con la moglie Miri, i due figli e i due cani, finché un giorno viene improvvisamente informato dalla sua azienda di essere stato licenziato.

«Ci dispiace. Non abbiamo altra scelta». Sentendosi come se gli avessero reciso la testa con un’ascia, Man-su giura di trovare un nuovo lavoro entro i successivi tre mesi per il bene della famiglia. Nonostante la sua ferma determinazione a rimettere in sesto la sua vita, trascorre oltre un anno passando da un colloquio di lavoro all’altro, finendo per lavorare in un negozio al dettaglio. Si ritrova a rischio di perdere quella stessa casa che ha faticato così tanto per comprare. Disperato, si presenta senza preavviso alla Moon paper per consegnare il curriculum, ma viene umiliato dal responsabile di linea Sun-chul. Sapendo di essere più qualificato di chiunque altro per lavorare lì, prende una decisione: «se non c’è un posto vacante per me, dovrò farmi assumere creandone uno».

Dalla Danimarca, il regista Anders Thomas Jensen, porta la sua opera fuori concorso The last viking, una favola nera sull’identità, raccontata con toni comici. Anker viene rilasciato dal carcere dopo una condanna a quindici anni per rapina. A seppellire il bottino era stato Manfred, suo fratello. Solo lui sa dove si trova. Purtroppo Manfred ha sviluppato un disturbo mentale che gli ha fatto dimenticare tutto. I fratelli intraprendono un inatteso viaggio alla scoperta del denaro e di sé stessi. Den sidste viking è una storia divertente, affascinante e provocatoria sull’identità. Il film esplora il potere dello sguardo altrui nel plasmare la nostra identità, coltivando la speranza, nonostante le difficoltà, di riuscire a scoprire noi stessi. Al centro di tutto c’è l’essere chi si vuole essere davvero. Il film dimostra che le persone non sono mai una sola cosa e incoraggia una prospettiva più olistica, intrinsecamente meno critica e più comprensiva. Se sappiamo di non essere una cosa sola, non ci offenderemo facilmente né prenderemo le cose troppo sul serio.
